Pastori si diventa. "Al pascolo con le pecore ho ritrovato la felicità"

Il parco delle Foreste casentinesi organizza un corso. Obiettivo: riavvicinare i giovani. Sei i candidati ammessi. L’esperienza di una quarantenne: "Un lavoro stupendo"

Gabriella Michelozzi nella sua azienda agricola in provincia di Pistoia

Gabriella Michelozzi nella sua azienda agricola in provincia di Pistoia

Pastori si diventa, a scuola. In Toscana, nel Casentino nasce la prima Shepherd School: le fondamenta sono gli obiettivi del progetto Life, le pareti e il tetto sono le lezioni sul campo che gli allievi potranno vivere direttamente nelle aziende. Sveglia all’alba per la mungitura, la salita al pascolo, le regole per gestire le predazioni, le fasi dell’attività durante il ciclo stagionale. Poi la parte teorica con esperti, ricercatori e docenti universitari. La scuola, voluta dall’ente Parco insieme a Regione, Università di Firenze, Unione dei Comuni montani e un pool di associazioni (DifesAttiva, Rete Appia e Slow Food) che collaborano al progetto coordinato da Dream Italia, parte da aprile con incontri nel fine settimana. Iscrizioni e soggiorno sono gratuiti per i sei allievi selezionati tra chi deciderà di aderire (c’è tempo fino al 28 febbraio). Nei trentaseimila ettari del Parco delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna ci sono quaranta aziende che, nella maggior parte dei casi, fanno della pastorizia il mestiere di famiglia, difficile da tramandare. Anche per questo nasce la scuola. "Custodire e tramandare la storia di un luogo offrendo un’opportunità professionale", sintetizza così Luca Santini, presidente del Parco.

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Quarrata (Pistoia), 29 gennaio 2023 - "Non c’è ricchezza più grande di quella che si ritrova nell’essere in pace con noi stessi. Io non ho bisogno di scappare. Mai. Io vado al pascolo e mi meraviglio di come i colori cambino con le stagioni, che neanche un pittore saprebbe dipingerla tanta bellezza. E il sole, l’acqua, il vento addosso. Ma come posso pentirmi di questa scelta?".

Gabriella Michelozzi ha 44 anni. Fino al 2010 una vita da ufficio – supervisore in un call center a Pistoia –, la quotidianità semplice di un qualunque trentenne. Poi la doccia fredda: arriva il fallimento, l’azienda chiude. Tutti a casa, comprese lei e la sorella Stefania. Ma di scoraggiarsi non se ne parla. Tanto che lei quel momento lo chiama "la svolta", a vederci il meglio che il peggio della situazione poteva offrire. L’idea è immediata: riprendere in mano lei e la sorella la proprietà di campagna, sulle colline di Quarrata, un tempo dei nonni. "Lo spunto ce lo dette la mamma. Pensammo – dice Gabriella – che se i nonni ci avevamo campato dignitosamente, altrettanto avremmo potuto fare noi. Così è nato il Canto di primavera del sogno antico".

Non avevate alternative di occupazione?

"Le avevamo, ma l’idea di far fruttare di nuovo quella risorsa ci conquistò. La proprietà era in abbandono da 30 anni. Il lavoro fin dall’inizio è stato notevole".

Una partenza da zero?

"Praticamente. Qualche contributo per imprenditoria giovanile femminile e arricciarsi le maniche. La prima esigenza era ripulire il terreno. Così arrivarono le prime capre. Figurarsi se avevamo pensato agli animali. Le comprammo barattandole con damigiane di vino. Il metodo funzionò, ma a quel punto avevamo bisogno di tener pulita anche la parte a prato. Così arrivarono le pecore. Anche queste prese col baratto. L’idea della fattoria iniziò a prendere sempre più forma. Arrivarono le mucche, i maiali, le galline, i conigli. Poi si cominciò con l’orto, riprendemmo in mano gli olivi, sistemammo le viti. A piccoli passi avevamo un po’ di tutto".

A che ora si è svegliata stamattina?

"Alle 5.30. Si parte col giro di saluto agli animali, si dà loro da mangiare, si munge, si mette il latte nel caseificio per il formaggio, si portan fuori le pecore. E così e poi al contrario nel pomeriggio. Abbiamo la parte a bottega con la rivendita, le consegne a domicilio e anche la parte ristorazione. La sera spesso abbiamo gente a cena".

C’è mai stato qualcosa che le è sembrato più grande di lei?

"I salti nel buio non sono mancati, quindi sì. Ma il mio rifugio è l’amore e la passione per le pecore. Alla fine mi hanno salvato la vita e dato sempre un motivo per alzarmi la mattina".

Ci pensa mai a come sarebbe andata la sua vita se il call center non avesse chiuso?

"Son convinta che prima o poi questo lavoro l’avrei fatto lo stesso. È stata una rinascita".

Che cosa le ha insegnato il suo lavoro?

"Che quel che fa star bene l’uomo ce l’abbiamo a portata di mano. La vita con gli animali ti fa soffermare, ti fa vivere il momento come fosse il primo. E poi come fosse l’ultimo".

Come s’impara a diventare pastori, una scuola può servire?

"Direttive, indirizzi, nozioni: qualcosa può arrivare dallo studio. Ma pastori non si diventa dall’oggi al domani. “Pastore“ non è un lavoro, è una scelta di vita che non conosce pause. Custodire gli animali è come custodire noi stessi. Ho imparato con umiltà, avvicinandomi a chi faceva questo lavoro. Non è stato semplice farsi accettare".

Pensa mai a quante cose potrebbe fare se avesse un lavoro diverso, meno impegnativo?

"Qualcuno pensa che io compia delle rinunce. Ma io in realtà acquisisco ogni giorno qualcosa. Mi stanco e mi rigenero insieme. E questo per me è felicità".

Che c’è nel futuro?

"Progetti importanti. Ho cominciato a lavorare e filare la lana. Mi sto dando sempre più all’economia circolare. E vorrei un domani fare entrare in famiglia capre cashmere o alpaca".