Costa Concordia, il giudice che condannò Schettino: "No, non mi ha mai fatto pena"

Le parole di Giovanni Puliatti, che presiedeva il collegio giudicante: "Non è stato il capro espiatorio come qualcuno ha voluto far credere"

Francesco Schettino, ex comandante della Costa Concordia

Francesco Schettino, ex comandante della Costa Concordia

Grosseto, 21 dicembre 2021 - "Fu un processo difficile, emozionante. E la sentenza, visti anche i successivi gradi di giudizio, fu perfetta". Inizia così Giovanni Puliatti, il giudice che guidava il collegio giudicante, di cui facevano parte anche i colleghi Marco Mezzaluna e Sergio Compagnucci, nel processo a Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia, condannato a 16 anni dopo il naufragio al Giglio.

Il giudice, oggi in pensione, ha presentato a Grosseto il convegno, che si svolgerà il 14 gennaio 2022 al teatro degli Industri, in occasione del decimo anniversario del naufragio del Giglio dal titolo "Per non dimenticare".Ripensando a quella notte, l’uomo che ha guidato con maestria uno dei processi più importanti della storia, non poteva che parlare anche di Francesco Schettino, "Capitan Inchino", il comandante della nave – da lui condannato a 16 anni – che la portò sugli scogli per fare il saluto all’isola.

Sulla sentenza non ha dubbi: "E’ stata confermata in tutti i gradi. Giudicando bisogna spogliarsi del lato emotivo e sentimentale. Adesso posso dire che il calcolo fatto era giusto. Schettino? Non mi ha mai fatto pena e non è stato il capro espiatorio come qualcuno ha voluto far credere".

«Ci sono stati momenti drammatici – prosegue – Quello forse più toccante fu l’udienza della ricostruzione della morte della piccola Dayana. Il testimone, che era il vicesindaco Mario Pellegrini, stava raccontando la spola che faceva per salvare persone che erano precipitate in un corridoio, che era diventato un pozzo. A un certo punto interruppe il suo racconto come se avesse cancellato dalla memoria quei momenti. Fu il pm Navarro a incalzarlo e disse, tra le lacrime, che vide la bambina sparire nell’acqua. E il babbo che lasciò la corda e cadde nell’acqua per cercare di recuperarla. Nessuno li vide più, se non morti abbracciati. Non riuscimmo a continuare".

Il giudice ha ricostruito il momento del primo sopralluogo sulla nave. "Sopralluoghi importanti – ha detto – chiesti dalla difesa. Mi ricordo il freddo spettrale che c’era in quel relitto, l’odore di ferro arrugginito. Fu una cosa molto difficile e faticosa. L’ennesima di quell’esperienza drammatica. Ma la cosa che non mi toglierò mai dalla mente è lo sciabordio dell’acqua quando scendemmo al ponte 7. La nave non era riemersa tutta e si vedevano le cabine sommerse".

"Vorrei ringraziare la Procura per tutto quello che ha fatto - ha aggiunto il giudice Mezzaluna - La nostra sentenza è figlia anche di indagini esaustive, puntuali e soprattutto celeri". "E’ stata un’esperienza preziosa e irripetibile – ha chiuso Compagnucci, l’altro giudice a latere –. Spesso non riuscivo a controllare le emozioni, devo essere sincero. Per la piccola Dayana ho pianto".