
Arezzo, 21 settembre 2023 – La scintilla della violenza che
esplode incontrollata fino ad arrivare a spaccare il setto nasale
di un coetaneo. L’episodio avvenuto su un campo da calcio cittadino in cui a fronteggiarsi erano due squadre di giovanissimi
durante un’amichevole, lascia pieni di interrogatori.
Elisa Marcheselli, psicologa e psicoterapeuta dello sport, come si definisce un comportamento del genere?
«L’episodio ripreso nel video avvenuto durante la partita di Allievi Indicatore Levane è solo uno degli ultimi casi di cronaca in
cui si mostra che la violenza tra minorenni è in crescita. Una tendenza in atto e diffusa nella nostra società. I giovani appaiono
fuori controllo, superano i limiti e arrivano come in questo caso
a far del male. Uno scatto di rabbia ci sta, ma qui si va oltre i confini dell’autocontrollo».
Quale la scintilla d’innesco di certe reazioni?
«Ci sono vari fattori. La violenza tra giovani può essere causata
da uso spropositato di alcol e droga, da una gestione sbagliata della routine, dalla mancanza di sonno, da grande tensione e
rabbia che trovano sfogo in momenti di condivisione con altri
ragazzi come nel caso di una partita anche se un’amichevole
senza valore. I dati della polizia dimostrano un incremento del
14% in Italia di minori arrestati o denunciati nel primo periodo
del 2022. Ci portiamo ancora dietro gli effetti del post Covid
in cui una generazione ha vissuto una sorta di rabbia che porta
a un incremento dei reati tra minorenni, dalle violenze sessuali
ai reati che vanno a ledere l’incolumità della persona come in
questo caso».
Un fatto più grave se si considera il contesto?
«Lo sport è considerato strumento psicosociale di protezione, diffonde valori etici. La violenza in questo contesto va contro una scala di principi che caratterizzano l’ambiente».
Ha fatto bene la società a ritirare la squadra dal campionato Allievi B?
«È un segnale, la società ha dato una risposta coerente e importante che segnala che certi comportamenti sono inaccettabili. Ma questo non basta, è fondamentale fare prevenzione. Si deve lavorare in maniera sinergica fare rete tra forze dell’ordine, psicologi, educatori, creare tutta una rete sociale intorno ai giovani che stanno vivendo un disagio. Vanno offerte soluzioni e non circuiti viziosi che possono portare ad epiloghi drammatici».
La scuola come può fare la sua parte?
«È necessario fare educazione affettiva, dove sia i giovani che i
bambini siano educati a rispetto ed empatia, un’educazione nelle scuole a partire dai più piccoli, vanno rivisitati i valori e le scale sociali dei nostri giovani».
Quale l’età più a rischio?
«Quella dai 14 ai 17 anni dove la rabbia può essere un’emozione
gestita in maniera disfunzionale. Gli adulti a volte non riescono a mettere a fuoco i singoli episodi che poi possono sfociare in comportamenti cronici in alcuni ragazzi».
I social influiscono?
«La violenza raccontata sui social può andare incontro all’emulazione, servono filtri-. È necessario fare educazione affettiva, insegnare sia ai giovani che ai bambini il rispetto e l’empatia verso gli altri. Circolano video di pestaggi di ragazzini, violenze su clochard, su disabili e se tutto questo non viene filtrato si rischia che a queste azioni si attribuiscano significati
sbagliati. Fondamentale la prevenzione indagando
sugli stati emotivi a partire da genitori, insegnanti
o istruttori: se si rilevano comportamenti sbagliati
si deve avere subito il coraggio di segnalarli. Si devono captare i segnali, l’unica arma è la comunicazione e l’osservazione
costante dei nostri figli».