Renzi, finito il trasloco dalla capitale. "Sto a casa fino alla Campanella" / FOTO

L’ex premier nel buen retiro familiare di Pontassieve

Matteo Renzi a Pontassieve (Germogli)

Matteo Renzi a Pontassieve (Germogli)

Pontassieve (Firenze), 11 dicembre 2016 - Era andato a vivere lì. Inquilino di Palazzo Chigi a tutti gli effetti. Anche personali. Molto personali. Una scelta di sobrietà, si disse all’inizio, la stessa che fecero Prodi e Monti. Nessuno dei predecessori però, solo a immaginarlo il prof, si era messo a correre dietro a una palla nei corridoi con gli amici che poi sono anche e non per l’appunto il sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio, suo braccio destro Luca Lotti e il maestro di cerimonie – preferibilmente aperitivi – parlamentare e tenutario della cassa del Pd, Francesco Bonifazi.

Di sicuro ci sarà più silenzio, da oggi, a Palazzo Chigi. Matteo Renzi ha finito di fare gli scatoloni e da oggi l’incubo del cerimoniale – che si divertiva a mettere in crisi, a partire dal gelato di Grom – e delle guardie del corpo – cui cercava di evadere, con la Smart o a sciare, poi costretto alla caserma Perenni a Courmayeur – sarà a Pontassieve, a casa sua. A Roma tornerà solo per il rito della campanella, la cerimonia che celebra il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo presidente del consiglio. Quasi tre anni fa era stato lui a prenderla dalle mani di #staisereno Enrico Letta: non uno sguardo fra i due. Per chi suona la campanella, sempre che il premier dimissionario non abbia messo via anche quella, negli scatoloni, insieme al pallone.

Si era detto della sobrietà e del gioco. L’appartamento al terzo piano di Palazzo Chigi era funzionale all’approccio workaholic, da vero maniaco del lavoro, del segretario Pd. Pizza e cocacola, sempre. E poi iPhone, iPad, MacBook. ‘Love is our resistance’, i Muse, una delle band del cuore.

Altro che minimal, i suoi avversari lo avevano accusato di voler prendere dimora nella Palazzina Algardi, chiamata anche Casino del Bel Respiro, una meraviglia di proprietà della presidenza del Consiglio immersa nel verde di Villa Doria Pamphilj, destinata agli incontri istituzionali.

Cattiverie, dicono i suoi. Mentre lui ripone le fotografie. E le guarda: dall’ufficio di Palazzo Vecchio, nella sala di Clemente VII, aveva portato con sé la foto con Nelson Mandela scattata in occasione del viaggio a Johannesburg da sindaco di Firenze per consegnare al premio Nobel per la pace il ‘Fiorino d’oro’: anche quella foto aveva fatto scoppiare una polemica fra i suoi detrattori quando la pubblicò su Facebook, nel giorno della morte di Mandela. Ricordi. Una pila di libri. No, scatoloni pieni di libri. E una promessa. Tornerà presto.