Giorgio Panariello: "Mio fratello morto di freddo. Abbandonato sul lungomare dagli amici"

Ospite a 'Domenica in', nel salotto di Mara Venier, il comico toscano racconta come da un dolore intimo e lacerante abbia trovato la forza di scrivere un libro dedicato al fratello scomparso nel 2011

Giorgio Panariello ospite da Mara Venier a 'Domenica in'

Giorgio Panariello ospite da Mara Venier a 'Domenica in'

Firenze, 1 novembre 2020 - Un Panariello intimo, melanconico che disvela quel malessere latente che 2011 lo accompagna ogni giorno. Giorgio Panariello, abbandonati i panni di Mario, il bagnino guardingo di Forte dei Marmi, di Merigo, il barcollante ciclista da osteria, pieno di vino sino ai gomiti, di Simone, il bambino un po' cresciutello che crea guai a più non posso, oggi ospite nel salotto di Domenica in, davanti a Mara Venier  ha raccontato a cuore aperto del fratello Francesco, morto nel dicembre 2011 a soli 50 anni. Un dolore sfociato nel libro Sono mio fratello, in cui Giorgio rivive pagina dopo pagina tutta la loro storia, dall'infanzia fino alla morte di Franchino, così lo chiamavano, una mattina di dicembre di 9 anni fa. Fu Carlo Conti a dargli la notizia che Francesco era stato trovato morto sul lungomare di Viareggio, dopo essere stato abbandonato dagli amici in una notte ad alto tasso alcolico.

“Mio fratello - racconta Giorgio a Mara Venier - non è morto di overdose ma perché è stato lasciato dagli amici sul lungomare di Viareggio come un materasso e se n’è andato per ipotermia. E' morto di freddo non per colpa della droga.  "Franchino - prosegue Panariello - se non avesse incontrato l’eroina sarebbe stato diverso. Era bravissimo a calcio. Se avesse avuto la possibilità di giocare in una squadra sarebbe diventato un grande calciatore”. Panariello non ha mai conosciuto suo padre ed è cresciuto credendo di essere figlio dei nonni. Incontrava la mamma, "una donna giovane ed elegante", solo durante le feste. "Ho scritto il libro per Franco, perché tutti sapessero la verità. Nel corso della mia vita ho avuto la sua stessa disperazione ed anch’io ho rischiato di cadere nella trappola degli stupefacenti. Mi son fermato in tempo", ha concluso Panariello.  "Scrivere di noi è stata per me anche un po’ una terapia. Questo libro probabilmente non avrebbe avuto senso se la storia di mio fratello non fosse sfociata in quell’assurdo finale". 

Serena Valecchi