Siena senza Palio. I riti e la memoria della città sospesa

Per la città un 2 luglio anomalo: sì alla messa del fantino, ma niente corsa causa Covid. La storia struggente di Pappìo e Folco nel 1943

La messa del fantino nel Campo

La messa del fantino nel Campo

Siena, 3 luglio 2021 - Come è strana Siena in questo secondo anno senza il Palio. Sembra un simulacro, una quinta da studios hollywoodiani, una città in sospeso che vorrebbe far ripartire il suo orologio secolare e invece le lancette non si rimettono in movimento. Tutto è innaturale, statico. Le 17 bandiere delle contrade sono ferme alle trifore di Palazzo Pubblico. Ieri è andata in scena, come tradizione, la messa del fantino in Piazza del Campo, con capitani e priori di Contrada, sindaco De Mossi e diversi fantini. Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, dopo aver ricordato commosso Brio, al secolo Andrea Mari, morto nell’incidente nel viale di Bolgheri, ha omaggiato le Contrade di Siena. "Non siete un’allegra brigata - ha detto nell’omelia - ma una comunità vera, non siete folclore ma sostanza". Detto da un pastore delle anime che si è forgiato nelle periferie romane, è un messaggio altamente simbolico.

La storia racconta della ’drôle de guerre’, la guerra dichiarata e non combattuta tra il settembre 1939 e il maggio 1940. Anche Siena vive il suo “Palio strano“, celebrando i fantini con le foto a forte impatto di Marco Delogu, con la mostra “I trenta assassini“ nel Cortile del Podestà. E scavando nella sua memoria per riscoprire cosa aveva fatto in situazioni simili. La storia struggente di Pappìo e Folco è una medicina che cura la carenza di adrenalina, un balsamo che scioglie quel magone che non va via in questo 2 luglio silenzioso. Senza chiarine, tamburi, canti e fruscio di bandiere.  

Il 16 agosto 1943 Pappìo, per l’anagrafe Lorenzo Fabbri, storico barbaresco del Drago, è in via del Paradiso nella stalla della Contrada, assieme a Folco. E’ il cavallo che ha già vinto 6 Palii, ha fatto addirittura cappotto con Ganascia nel 1933 per la Tartuca. Pappìo parla spesso con Folco, la leggenda vuole che se lo porti anche dal vinaio. Quel 16 agosto di guerra, il barbaresco apre la porta della stalla del Drago e vede che Folco comincia ad andare da solo per le vie della città. Va verso Piazza del Campo e, mentre lui cammina, i senesi escono dalle loro case e seguono il cavallo in silenzio.

Quella che arriva in Piazza del Campo è una processione da brividi, persone dietro un cavallo che va dritto nell’Entrone, nel posto dove lo portavano ogni 2 luglio e 16 agosto. E mentre Folco entra, la gente incomincia a piangere e ad abbracciarsi. Si leva la prima voce, se ne unisce un’altra, poi il canto “Nella piazza del Campo ci nasce la verbena“ rompe quel silenzio bagnato dalle lacrime. Non è una leggenda, è storia vera. Raccontata ai figli e ai nipoti da quei senesi che quel 16 agosto 1943 hanno seguito Folco e Pappìo, dando vita al Palio più immaginifico della storia.  

Oggi è diverso, rispetto alla guerra. Il virus Covid19 è un nemico invisibile e più pericoloso, perché toglie ai contradaioli anche la coralità dell’abbraccio, il contatto fisico, la condivisione della gioia e della mancanza. Il Palio vive di contatti, di canti, di rumore e sensazioni tangibili, concrete, pesanti. La distanza obbliga a macerarsi nella mancanza ognuno a suo modo, come le famiglie infelici di Tolstoj in Anna Karenina. E allora bisogna ac contentarsi della messa del fantino, celebrata prima di una corsa che non ci sarà. Di una mostra di foto in bianco e nero con volti segnati dal tempo, un tempo “assassini“, oggi agli arresti domiciliari per la pandemia. E illudersi che in autunno, se la variante Delta non ci farà ripiombare nell’incubo, se vaccini e anticorpi scacceranno il Covid, le Contrade decidano di celebrare la fine della pandemia con un Palio straordinario. Per ora è solo un desiderio.