Omicidio di Montopoli, l’amicizia finisce e irrompe la morte

Massacrato a Montopoli: ecco come si è arrivati al presunto assassino

Nella foto piccola Danny Scotto, nella grande Giuseppe Marchesano

Nella foto piccola Danny Scotto, nella grande Giuseppe Marchesano

Montopoli Valdarno (Pisa), 14 novembre 2018 - Un delitto che cela rabbia, rancore, delusione. Secondo gli inquirenti ruota tutto intorno a quell’amicizia che lo stesso Danny Scotto – 27enne di Chiesina Uzzanese, indagato e in carcere come presunto omicida del coetaneo Giuseppe Marchesano – ha confermato essere sfiorita senza un perché anche in sede di interrogatorio. Aggiungendo che in questo tempo (un anno circa) non è mai riuscito a darsi una spiegazione di quella frizione che, nell’ipotesi accusatoria, avrebbe lasciato ruggini ed equivoci fra i due. Secondo l’indagato (che nega ogni addebito), invece, nonostante tutto i rapporti erano sereni al punto tale che i due si sarebbero visti anche il giorno del compleanno.

Un alibi che non regge per la Procura di Pisa che contesta al pistoiese la disponibilità di una pistola compatibile con quella che ha giustiziato Marchesano. Un indizio al quale si aggiunge la presenza di Scotto a pochi chilometri dalla casa di Montopoli, proprio la sera del delitto in orario compatibile. Una telecamera di Santa Maria a Monte, sulla via provinciale Francesca Sud, colloca Scotto, a bordo del suo pick-up, a quattro chilometri dalla casa dell’ex amico.

Sono le 19,19 di venerdì 9 novembre quando la videosorveglianza inquadra l’accusato: Marchesano morirà, crivellato alla testa con quattro colpi – due lo raggiungeranno alle gambe – attorno alle 20 o poco più. Un amico lo troverà il giorno dopo, seminudo, accasciato sul divano. Inoltre, in una conversazione telefonica fra i parenti di Scotto, si farebbe riferimento ad una visita che il pistoiese avrebbe fatto «a Giuseppe» proprio venerdì. Una telefonata ritenuta rilevante dagli inquirenti.

Ma che cosa è successo quella sera? Un delitto pianificato? Le indagini – coordinate dal pubblico ministero Sisto Restuccia – sono a tutto campo e ancora in pieno svolgimento. Un dato è certo: Scotto, aveva acquistato una pistola e un fucile solo 4 giorni prima l’omicidio (il 5 novembre), mentre il porto d’armi per il poligono lo aveva conseguito da un annetto. Armi nuove di zecca, ma già utilizzate. La Magnum in particolare aveva già sparato: il sabato al poligono, si sarebbe giustificato Scotto. La perizia balistica, già disposta, e il confronto con le ogive che hanno dilaniato la testa del Marchesano potrebbero costituire la prova regina se tutti gli elementi dovessero risultare compatibili con l’arma rinvenuta allo Scotto.

Ma perché Scotto avrebbe ammazzato con una modalità così atroce l’amico al quale era stato molto legato? La Procura sta scandagliando le vite dei due protagonisti di questa storia terribile.

Dalle dichiarazioni rese da Scotto durante l’interrogatorio alla presenza del procuratore Crini, sarebbe emerso che quello con Marchesano era l’unico rapporto amicale della sua vita, tanto che il giovane non sarebbe stato in grado di citarne altri. E anche la madre dell’indagato, sentita dagli inquirenti, avrebbe confermato la lunga amicizia fra i due. Ci potrebbe dunque essere una sorta di morbosa amicizia nel dramma che si è consumato a Castel del Bosco. Ma il condizionale è d’obbligo e il movente è ancora sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti che, in neanche quarantotto ore dalla scoperta del cadavere, hanno dato una prima svolta a quello che sembrava un vero rebus estremamente complesso.