"Mostro, la pistola da Vinci a un avvocato. E Pacciani è stato sicuramente ucciso"

L’ex capo della Squadra Mobile di Firenze Michele Giuttari rivela particolari inediti dell’inchiesta che non sono stati approfonditi

La Piazzola degli Scopeti dove l'8 settembre 1985 furono uccisi i due francesi

La Piazzola degli Scopeti dove l'8 settembre 1985 furono uccisi i due francesi

Firenze, 23 agosto 2021 - Michele Giuttari scaccia i fantasmi della vicenda del Mostro affidando le inchieste al suo alter ego di carta, il commissario Ferrara. Ma sono ancora tanti gli interrogativi senza risposta. Dubbi pesanti, ombre lunghe che non se ne sono mai andate via. "Le verità - ripete Giuttari - sono nelle carte delle inchieste e dei processi". E l’ex capo della Mobile se le ricorda bene quelle carte, che gli fanno rivelare nuovi retroscena sulla pistola del Mostro e sulla morte di Pietro Pacciani.

Giuttari come preferisce essere ricordato? Uomo dello Stato che ha combattuto la mafia o capo della Mobile di Firenze che ha riaperto il caso Mostro o scrittore? "Preferirei essere ricordato come poliziotto, come servitore dello Stato, perché così mi sono comportato fedelmente in oltre trent’anni di attività investigativa. Come scrittore, lascio il giudizio ai posteri sui 14 libri finora scritti".

È in libreria con una nuova vicenda del commissario Ferrara. Lo scenario riporta sempre ai duplici delitti del Mostro. "Nel nuovo thriller "Sangue sul Chianti" appena pubblicato (ottavo della serie), non ci sono riferimenti specifici alla vicenda del Mostro. Ambientato non solo in Toscana ma anche a Roma, ha per protagonista il commissario Michele Ferrara, capo della Squadra Mobile di Firenze, comparso per la prima volta in Scarabeo. Ferrara in effetti è il mio alter ego che in ogni nuova opera ha aggiunto sempre qualcosa di me, non solo nell’aspetto fisico ma anche nel carattere, nella sua fedeltà alle istituzioni, nella sua caparbietà e determinazione nelle indagini. E anche nei suoi rapporti difficili con i superiori".

I duplici delitti diventano ossessioni per chi li ha seguiti da vicino? "La vicenda del Mostro non è affatto un'ossessione per me. E’ stata stata una delle tante attività svolte, peraltro non la più difficile. Voglio ricordare l’esperienza sulle stragi di mafia del 1993 a Firenze, Roma e Milano con una sentenza definitiva ottenuta in 4 anni sugli esecutori materiali e mandanti all’interno di Cosa Nostra, coordinata da un grande magistrato, Gabriele Chelazzi, che ricordo con grande affetto. Vigna, quando lasciai la Dia per la Mobile, evidenziò al Capo della Polizia il mio contributo mettendo in risalto le mie qualità investigative".

Il commissario Ferrara è più bravo di lei? "Non so dire se sia più bravo, ma posso affermare che sicuramente è più fortunato di me. Lui, infatti, ha la possibilità di vivere le indagini dall'inizio e di arrivare alla soluzione del caso in tempi abbastanza brevi. Nella realtà difficilmente capitano simili situazioni. Le indagini hanno i loro tempi fisiologici che durano mesi e anche anni. Come nella vicenda del Mostro".

Ha fatto qualche sbaglio nell’inchiesta Mostro? "Sbagli? Nessuno. Né nel Mostro né in altre vicende, anche perché ho sempre affrontato i casi non con l’obiettivo del risultato immediato ma nell’ottica dell’esito processuale, perché per un buon processo occorre che la polizia giudiziaria agisca con professionalità, anche senza farsi suggestionare da richieste di accelerare i tempi per dare risposte pubbliche".

Tanti interrogativi ancora. Pacciani trovato morto in casa. Come è andata? "Vidi personalmente Pacciani da morto, nel febbraio 1998. Il suo cadavere era bocconi sul pavimento della prima stanza attigua all'ingresso-cucina. Diversi i particolari strani che mettevano in dubbio un decesso naturale. Il cadavere presentava le macchie ipostatiche in zone in cui non si sarebbero dovute formare, tutte le finestre e la porta erano completamente spalancate in pieno inverno, le luci tutte spente. Lui era solito all'imbrunire chiudersi in casa. Inoltre, durante la perquisizione furono trovati vari farmaci, tra cui un antiasmatico controindicato per le sue patologie e una confezione spray era completamente vuota. Fu trovato anche un appunto da lui scritto, in cui temeva di essere ucciso. Intorno alla vita aveva uno straccio di stoffa imbevuto di varechina. Il mio parere è che sia stato ucciso nella nottata di sabato, quella preferita dal Mostro, perché evidentemente non era ritenuto più affidabile, specialmente dopo i quattro fogli di quaderno manoscritti inviati all’Ansa poco prima dell’inizio del suo processo d’appello spiegando di non essere lui il vero Mostro, identificabile, invece, in chi aveva eseguito altre uccisioni tra cui quella di Francesco Vinci».

La vicenda del Mostro è da inserire nei grandi Misteri d’Italia? "Mi auguro di no. So che la procura sta continuando a lavorare con la valida collaborazione del personale del Ros. Per sette anni si è indagato sul famoso legionario e su un medico, risultati però estranei ai fatti come sentenziato dal gip. La vicenda, però, merita di essere approfondita. Il blocco dell’inchiesta, subìto nel 2006 con l’ingiusta azione giudiziaria, portò alla fine dell’attività d’indagine dell'ufficio da me diretto. In quel momento avevamo in carico diverse deleghe del pm di Perugia e gli esiti da poco acquisiti, opportunamente sviluppati, avrebbero potuto consentire di chiarire qualche aspetto tra cui quello della famosa pistola e del movente dell'uccisione di Francesco Vinci".

Tipo? "Occorreva estendere gli accertamenti in una località del nord Italia per identificare un grosso personaggio, forse un avvocato, dal quale Vinci sin dal 1974 (anno d'inizio della vera serie del Mostro) era creditore di una ingente somma per la cessione di un'arma, forse proprio quella utilizzata nel delitto del 1968. Sono trascorsi 15 anni e non ho letto nulla su questa indagine forse perché non nota a Firenze, trovandosi gli atti alla procura di Perugia".

C'è  stata una grande rivalità tra gli investigatori che hanno indagato sul Mostro. Perché?  "Non mi risulta assolutamente che ci siano state rivalità tra investigatori, almeno per quanto mi riguarda avendo sempre eseguito puntualmente le deleghe del pm. Certo, la novità del nuovo filone sui complici di Pacciani, che ha ribaltato la filosofia del serial killer solitario sulla quale ancora alcuni si ostinano non conoscendo però bene i fatti, ha potuto far ipotizzare in taluni qualche contrasto con chi mi aveva preceduto. Ma non è vero. Chi mi aveva preceduto aveva fatto tutto il possibile con professionalità, in un'inchiesta senza precedenti, seguendo anche le indicazioni di famosi consulenti nominati dalla procura. L’indagine, però, dopo la condanna di Pacciani, aveva preso un'altra direzione grazie allo scrupolo professionale dei giudici, in primis del Presidente Ognibene, che in sentenza evidenziarono gli esiti dibattimentali che lasciavano ipotizzare la presenza di più persone almeno negli ultimi due duplici omicidi. E nel nuovo filone si considerarono i dati oggettivi già presenti, tra cui precise multiple testimonianze, che in un’inchiesta hanno il loro valore e che non bisogna mai perdere di vista. Partendo da quegli elementi, con le indagini tradizionali (intercettazioni telefoniche, interrogatori, perquisizioni…) si riuscì a dare la svolta sugli ultimi quattro delitti con un lavoro paziente della polizia giudiziaria coordinata dalla procura ai tempi di Vigna".

Ha capito a un certo punto che non poteva andare avanti? C'era un livello più alto che ostacolava o quanto meno che non desiderava che si andasse oltre?  "Il segmento sui possibili mandanti già dai primi passi fece registrare delle anomalie mai riscontrate durante l’inchiesta su Pacciani e sui suoi complici. Ci furono più tentativi dei vertici della polizia per attuare il mio trasferimento di sede con la nomina a Questore Vicario di Pesaro o di Arezzo, non realizzati per l’insistenza del pubblico ministero a tenermi ancora impegnato nelle indagini. Seguirono vari atti di intimidazione e di minacce, anche di morte, il taglio dei quattro pneumatici della mia auto privata, l’episodio delle Cappelle del Commiato, in momenti in cui l’indagine sembrava che stesse incanalandosi verso una pista ben precisa, con il chiaro messaggio dei resti di un sigaro lasciato sul cadavere di un’anziana a cui erano state fatte degli sfregi sul viso. E poi ancora la nomina a Dirigente dell’Ufficio Stranieri della stessa Questura. Un chiaro demansionamento di funzioni rispetto a Capo della Mobile che non accettai. Rimasi a casa per circa un anno e mezzo, durante il quale trovai sfogo nella scrittura, mia grande passione, scrivendo "Scarabeo" che incominciò a farmi notare anche nel mondo anglosassone come autore di thriller. Dopo aver vinto i ricorsi al Tar e Consiglio di Stato, che annullarono quello strano trasferimento del capo della polizia, ritornai finalmente nella mia carica di capo della Mobile. Non posso dimenticare, però, il giorno del mio rientro, quando trovai il mio ufficio chiuso a chiave e nessuno volle aprirlo. Mi sentii un intruso a cui la Polizia aveva voltato le spalle senza alcun plausibile motivo. Dovetti ritornarmene a casa e l’indomani notificai al Questore un atto di diffida allegando le sentenze. Mi fu aperto l’ufficio. Ripresi in mano le indagini che nella mia assenza erano state dormienti. Il clima di ostilità, però, proseguì. Alla fine fui promosso Questore Vicario di Prato. Dovevo lasciare la Mobile, ma i magistrati si opposero scrivendo una lunga motivata lettera ai vertici, molto eloquente, nella quale alla fine così concludevano: “riteniamo infine fare presente che, a nostro avviso, un intempestivo allontanamento del Dott. Giuttari dalle indagini potrebbe comprometterne irrimediabilmente l’esito” . Fu trovata la soluzione: via dalla Mobile e creazione di uno speciale gruppo di lavoro (Gides) a disposizione dei due magistrati di Firenze e Perugia".

Torniamo a Pacciani. Perquisizione nella sua casa. Fu trovata la cartuccia nell'orto. Ha avuto qualche dubbio su quella dinamica?  "Non ho vissuto personalmente la perquisizione e, quindi, il rinvenimento della cartuccia nel paletto che delimitava l’orto antistante la casa di Pacciani. Ho letto recentemente che una nuova perizia sarebbe giunta a conclusioni diverse rispetto a quelle dell’epoca. Attendiamo gli sviluppi. Un fatto, però, mi ha incuriosito – e anche parecchio – leggendo le carte del processo a Pacciani. Una persona, firmandosi come “anonimo fiorentino”, in una delle oltre trenta lettere inviate a varie autorità e personaggi sin dall’inizio dell’indagine su Pacciani fino alla sua condanna in primo grado, aveva anticipato un simile rinvenimento con alcuni mesi di anticipo. E poi aveva accusato i difensori di non avere eseguito le sue istruzioni per far controllare in tempo il terreno dell’orto con 5 speciali apparecchiature. Forse aveva la sfera di cristallo? No, la sapeva lunga su questa vicenda, anche sul fazzolettino di sangue trovato agli Scopeti". 

Perché i duplici delitti sono terminati?  "Dopo l’ultimo delitto deve essere successo qualcosa. Per la prima volta sono stati minacciati i tre pubblici ministeri che indagavano inviando loro una cartuccia a testa e un chiaro messaggio di morte. Al magistrato donna, che aveva indagato in alcuni delitti, è stato inviato un pezzettino di pelle asportato dal corpo della vittima francese. A distanza di un mese esatto, nel lago Trasimeno, è stato trovato morto il medico perugino sospettato di avere a che vedere con i delitti, una morte non accidentale o per suicidio come all’epoca ipotizzato, ma per un’azione violenta come accertato nell’unica autopsia eseguita a distanza di anni dopo la riesumazione del cadavere". I feticci non sono mai stati trovati. Che idea si è  fatto?  "Questa domanda mi consente di esporre il risultato di attente analisi su fatti oggettivi segnalate già dal 2000 alla procura con apposite annotazioni. Si è trattato di delitti di un gruppo costituito da personaggi di varia estrazione sociale, molto probabilmente facente riferimento a una setta, perché numerosi sono i riferimenti che portano al movente esoterico dei delitti. Già dal 1984 il significato esoterico dei delitti opera di una setta era contenuto in distinti studi molto approfonditi di tre dipendenti dei servizi segreti, che però non si sa per quale motivo non sarebbero giunti agli inquirenti dell’epoca. Interrogati, i tre funzionari confermarono i loro elaborati e le loro ipotesi e fu possibile recuperare i documenti a seguito di perquisizioni. Anche l’inchiesta perugina portò a considerare l’ipotesi dell’esistenza di una setta, in base a precise testimonianze anche da parte di personaggi legati alla massoneria. Per me questo dell’esoterismo è un aspetto abbastanza verosimile sul quale si sono avute difficoltà a indagare sia per la segretezza che caratterizza questo mondo sia per una mancanza di preparazione nell’affrontare simili indagini, tanto che in una delle mie annotazioni avevo chiesto la creazione di un apposito gruppo di lavoro con la partecipazione di esperti anche criminologi e psichiatri. Ma eravamo già nella fase dei trasferimenti e dei problemi vissuti".

È rimasto in vita qualcuno che sa della vicenda Mostro e non ha parlato?  "Ritengo che il cosiddetto "anonimo fiorentino", forse un fuoriuscito dal gruppo o comunque contrario ai delitti, abbia agito nell’anonimato per fornire un proprio contributo. Lui penso che sapesse tanto della vicenda e con lui quella che in una missiva ha chiamato sua confidente quando ebbe a scrivere che nessuno l’avrebbe potuto identificare se la sua confidente non l’avesse tradito. E che ci fosse un’altra persona era risultato dalla perizia sull’indirizzo di qualche lettera, perché la scrittura era risultata diversa da quella presente sulle altre. Ecco, questo personaggio anonimo, se ancora in vita, o la sua confidente, che si facessero sentire dagli attuali inquirenti che stanno facendo di tutto per portare avanti questa complessa indagine. Penso che ci siano anche altri a conoscenza e che non parlino per paura perché ritengono di esporsi a ritorsioni e atti violenti". In Umbria qualcuno potrebbe dare elementi utili a scoprire di più? "Anche in Umbria c’è chi sa, ma non parla per paura, come si è potuto constatare in più interrogatori. Ricordo in particolare un anziano pescatore, in possesso di notizie utili sul recupero del cadavere del medico dalle acque del lago, ma che tremando scoppiò a piangere dicendo di avere paura dei "fiorentini”. Preferì essere indagato per false dichiarazioni al pm. L’indagine di Perugia, fino a quando fu possibile investigare, fece registrare dei punti fermi come la messinscena del doppio cadavere per mascherare la reale morte del medico, l’attività di depistaggio e le pressioni presso il Ministero dell’Interno, in particolare di un indagato, per farmi allontanare dalle indagini. Quasi tutti i reati degli imputati, però, si prescrissero. Facendo un esame retrospettivo, devo dire che questa inchiesta perugina, molto importante, spostò l’indagine del Mostro dal suo vero cuore che era a Firenze, da quell’ambiente di maghi, pervertiti sessuali, dediti a orge e a riti di magia nera nella vecchia colonica del mago di San Casciano e ai festini con minorenni in una villa nei press, con la partecipazione di personaggi importanti. Minorenni che erano portati da una giovane, non fiorentina, che faceva prostituire a Firenze anche la sorellastra più piccola. Era stata identificata ed oggi dovrebbe essere vicina ai 70 anni. Se viva, potrebbe fornire un contributo importante. Agli atti del Gides ci sono alcuni verbali. Tutta l’attività, svolta da me e dai miei collaboratori, è stata sempre puntualmente documentata in atti ufficiali trasmessi sempre in procura e devono essere presenti anche negli archivi della Squadra Mobile e in quelli del Gides".

Ostacoli alle indagini. "Chi aveva interesse ad ostacolare le indagini facendo rimanere il caso del Mostro tra i Misteri d’Italia? Questo è il vero interrogativo che richiede una risposta. A una vicenda dai risvolti inimmaginabili, che non può essere circoscritta a quei guardoni utilizzati per individuare le coppie, fare ricoprire un ruolo, di palo o di esecutore o di risistemare i locali delle orge e dei festini con minorenni. No, la vicenda è molto complessa e richiede ogni possibile sforzo da chi sta indagando. Le carte con fatti ben documentati esistono. Come pure si può contare sulla professionalità e l’impegno dell’organismo investigativo dell’Arma. E forse un domani il pm capirà, se già non lo ha capito, il grande errore commesso ai danni di un investigatore che aveva dato tutto se stesso".

Ci sono i 'giuttariani' e i contro Giuttari. Lei ha diviso l'opinione pubblica e anche la critica. Come mai? “I contro Giuttari? Sono prevalentemente coloro che non conoscono i fatti nella loro realtà fattuale e giudiziaria, e che non sanno neppure l’abc dell’attività investigativa. Nei social si nascondono in genere dietro nomi di fantasia e foto di animali per offendere quasi fossero loro, depositari della verità, i grandi esperti del caso. E non faccio altro che pensare alla famosa frase dell’inferno dantesco “non ti curar di lor, ma guarda e passa”. E' la migliore risposta, declinando anche i ripetuti inviti a intervenire in più blog “specialisti”, anche in quelli, rari, che seguono la linea ufficiale e mi sembrano seri".

Quando va a letto qual è l'ultima cosa che pensa?  "Mi capita di riflettere sulla nuova avventura del commissario Ferrara da mandare in stampa con i personaggi che non intendono lasciarmi e continuano a parlarmi".