Se una tragedia ci sembra normale. "Impariamo a indignarci di più"

Le riflessioni dell’abate Bernardo: "In questa società si fa ammenda sempre e solo dopo le morti bianche"

L'azienda dove si è consumata la tragedia (foto Attalmi)

L'azienda dove si è consumata la tragedia (foto Attalmi)

Firenze, 5 maggio 2021 - Luana D ’Orazio, ventidue anni, morta sul lavoro in un’azienda tessile. Mamma dall’età di diciassette anni. Non era una degli "sdraiati", secondo la definizione di qualche paludato commentatore. L’articolo potrebbe finire qui. Basterebbe un tweet essenziale come quello di padre Bernardo Gianni, uno dei pochi intellettuali rimasti a Firenze: "Per Luana e per chi muore lavorando". Luana D’Orazio, stritolata da un orditoio a Montemurlo. Lavorava lì da tempo. La madre ha raccontato che era felice perché quel lavoro la rendeva libera. La procura indaga. La politica si sveglia dal torpore e parla.

Padre Bernardo argomenta l’essenziale: "C’è sempre una sorta di sopore e di cattivo avvezzarsi a questo genere di notizie. È come per i morti annegati. Queste notizie diventano una sorta di cuscinetto, di sottofondo; attutiscono gli stridori di una coscienza che ha perso lo sforzo, la fatica e la necessità dell’indignazione e della protesta. Così come l’altro giorno in Chiesa ho ricordato la distesa di morti in mare, adesso mi sembra importante, anche da pratese di adozione, ricordare che ancora oggi si muore inghiottiti da una macchina". "Nell’immaginario - continua padre Bernardo - il telaio è una sorta di impastatrice che soprattuto in passato dava ricchezza, lavoro, benessere ma che minacciava anche dita di mani e orecchie. In un film di Francesco Nuti, ’Madonna che silenzio c’è stasera’, a un certo punto vengono inquadrate le dita mozzate dei lavoratori, un tratto fisiognomico tipico del tessitore pratese, che sapeva che nel corso della sua carriera avrebbe sacrificato qualche falange. Qui il riscontro è molto più tragico".

Si muore a vent’anni, lavorando. Non è la prima volta, probabilmente non sarà l’ultima. La giovanissima Luana D’Orazio è diventata così "un martire di questa instabilità sociale, dell’impossibilità di una continuità professionale per molti giovani. Il lavoro da diritto si trasforma in macchina di morte. Non si capisce perché in questo Paese non maturi una cultura della sicurezza sul lavoro". L’indignazione, insomma, arriva come sempre quando c’è un morto sul lavoro, ma è tardiva. Bisogna aspettare di morire, e morire giovani, per destare preoccupazione e lanciare allarmi. Quando ormai non serve più. Arrivano già le parole definitive. Mai più. Commissione d’inchiesta. C’è tutta una fraseologia della Nottola di Minerva pronta a sollevarsi quando l’orditoio ha già catturato una vita.

«Non capisco perché ci si debba ritrovare a fare del Primo Maggio un bis del Due Novembre, con il pianto su chi è costretto a morire da eroe in una esperienza che dovrebbe essere per la vita e non il contrario", dice padre Bernardo, guardando San Miniato al Monte: "Siamo purtroppo esperti nell’assenza di una cultura della prevenzione e anche incapaci di elaborarne una. Vale non solo sul lavoro, si pensi ai sismi. Siamo portati a dover aspettare la tragedia per prendere qualche decisione".Eppure si chiamerebbe prevenzione perché serve, appunto, a prevenire.