'Ndrangheta in Toscana. Con i veleni del keu si sporcano anche due colossi dell’oro

La Dda di Firenze notifica a 26 persone la conclusione delle indagini. Oltre alle imprese conciarie coinvolti pure imprenditori di Arezzo. Nei guai rappresentanti istituzionali

Firenze, 25 novembre 2022 - I fanghi delle concerie di Santa Croce e l’arsenico degli orafi di Arezzo: così i tentacoli della ’ndrangheta si sono insinuati tra l’imprenditoria e la politica della Toscana. Contamindole. Il terremoto, ora che la Dda di Firenze ha notificato la conclusione delle indagini, non è più soltanto il keu, scarto delle produzioni delle pelli che l’imprenditore vicino ai clan calabresi Francesco Lerose avrebbe smaltito nel suo stabilimento di Pontedera e rivenduto come ’sabbione’ o ’Stabilizzato riciclato’ per sottofondi di cantiere.

Ma c’è anche un ulteriore filone, emerso dall’avviso di chiusura delle indagini che il pubblico ministero Giulio Monferini ha notificato ieri: l’atto, che ha raggiunto complessivamente 26 persone e 6 società, oltre al gotha delle associazioni di conciatori santacrocesi, colpisce le aziende orafe aretine, come la Chimet e la Tca di Capolona e i relativi amministratori e legali rappresentanti. Ma nelle carte di un’indagine vastissima, condotta dai carabinieri Forestali, Noe e Ros, che s’intreccia anche con il fascicolo parallelo delle intimidazioni in stile mafioso nel mondo dell’edilizia (anche in questo filone le indagini sono state chiuse, la scorsa estate), c’è la politica.

La più alta della Toscana, quella della Regione. Nel nocciolo di una presunta associazione per delinquere che sarebbe stata costituita "al fine di commettere una serie indeterminata di delitti ambientali e contro la pubblica amministrazione", spiccano il sindaco di Santa Croce Giulia Deidda, il dirigente regionale ambiente Edo Bernini, il capo di gabinetto dell’ex governatore Enrico Rossi, Ledo Gori. E poi tutti gli ex vertici dell’Associazione Conciatori e del Consorzio Aquarno, che gestisce il depuratore che scarica nel torrente Usciana. Oltre ai Lerose: trait d’union tra il mondo della pelle e quello dell’oro. Perché se a Pontedera, zona cuoio, c’era il keu - finito a sua volta in opere come la Sr 429 nell’empolese - nelle baie della seconda azienda di famiglia a Bucine, c’erano arsenico, cromo, selenio, presenze che hanno portato gli investigatori dritti dai colossi dell’oro aretino. Che, stupiti dagli sviluppi dell’inchiesta, si difendono. «L’azienda contesta fermamente di aver operato al di fuori di ciò che prevede la legge e di ciò che le autorizzazioni, anche dell’impianto Lerose, consentivano di fare", dice una nota diffusa ieri dalla Chimet. "Chimet ritiene che vi sarà tempo e modo per dimostrare la prpropria estraneità ai fatti". "Siamo stupiti della contestazione che ci coinvolge - fa eco la Tca commentando l’avviso ricevuto da tre sue figure - e auspichiamo che sia fatta chiarezza. Daremo ogni utile supporto a dimostrazione dell’estraneità alle condotte contestate. Siamo comunque sconcertati nell’apprendere delle ombre legate alla società, autorizzata dagli enti preposti, cui conferivamo gli scarti di lavorazione".

Nell’avviso di conclusione delle indagini, c’è anche il consigliere regionale Pd Andrea Pieroni, ’padre’ dell’ormai famoso emendamento caro ai conciatori passato nella primavera del 2021. Stralciata e mandata all’archiviazione, invece, un’imputazione per Ledo Gori, Giulia Deidda e i conciatori riguardante i presunti condizionamenti nelle scelte dei dirigenti di Arpat e il pressing per la conferma del capo di gabinetto anche con il nuovo governatore, Eugenio Giani. Quest’ultimo, commentando l’ultimo passo dei magistrati, rimanda le valutazioni: "Quando l’inchiesta raggiungerà il livello dei rinvii a giudizio potremo commentare e valutare il da farsi".