L’urlo degli operai in piazza

Gkn, lavoratori licenziati in trincea "Non molliamo per i nostri figli"

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Firenze, 16 luglio 2021 - «Oh, ma che c’è lavoro a I’Cairo? Io so mandare il muletto, sicchè al limite guido anche un cammello eh...". Non c’è verso. Firenze pure con la faccia spiaccicata sul marciapiede da un cazzottone digitale piovuto da Oltremanica, con l’ultimo filo di fiato, ti piazza la battuta che rovescia non certo il destino - ci mancherebbe altro, che qui il fondo Melrose Industries non arretra di un millimetro (422 a casa ha scritto e 422 a casa ha ribadito ieri in collegamento remoto) – ma il senso dello sguardo alle faccende della vita, dove dramma e risate (solo qui) si sfiorano, in fondo sì. A gestire il Caffè all’angolo tra via de’Pucci e via Martelli c’è difatti da qualche tempo un egiziano di mezz’età, talmente sul pezzo che ormai aspira anche la ’C’. E si affolla lì verso le tre del pomeriggio, per una Ceres sciogli-corde vocali, una costoletta del gruppone ’vecchia guardia Gkn’ che fischia, canta e rulla i tamburi sotto la prefettura già da mezzogiorno. "Insomma se c’è lavoro nel deserto io vengo giù con te" scherza un operaio con la t shirt nera griffata ’consiglio di fabbrica’. «Eh sì, perché a questo giro questi ci fanno il c... per davvero" sospira il collega, pancia in fuori sulla pedonale di via Martelli dove qualche turista alza lo smartphone e filma la ’torcida’ continua sotto il Palazzo Medici Riccardi, che ospita il tavolo tra azienda, sindacati e istituzioni sindaco Dario Nardella e governatore Eugenio Giani in primis. Lupetto – pizzetto lungo ordinato in un elastico, triplo orecchino, Ray Ban e camicia blu senza manica – ritma i cori con il tamburo. "La Gkn non si tocca, la difenderemo con la lotta" canta con sorriso pacato da Osho. Quel Lupetto che due notti fa, sdraiato su uno scatolone rigido per i semiassi delle Ferrari, parlava di dadaismo e Keynes. C’è lui, c’è Andrea ’il barba’, c’è Roberto che alterna un fischio a un sorso di birra, c’è Giacomo con i pantaloni arrotolati sopra il ginocchio che strilla ’Mi rovinano questi, io la mattina voglio lavorare non chiedere l’elemosina’. C’è Chiara che non ’dorme da due giorni e i bambini se ne sono accorti’, c’è Luca che gira come una trottola e urla ’Forza, forza ci devono sentire anche se sono affacciati a un computer dall’Inghilterra’, sbucano tra i fumogeni grigio pece gli occhiali di Michele da Pistoia, l’uomo tigre mite e minuto che le ultime trecento euro le ha volute dare alla sua Maria Pia che ha diciott’anni ha tutti 9 in pagella e "in ferie poverina è giusto ci vada". «Macché, non cambia nulla. Hai voglia a vociare ragazzi" scuote la testa un operaio i cui capelli bianchi sembrano saperla più lunga di altri. "Questi hanno deciso di mandarci tutti e casa e ci mandano tutti a casa". "Però sono le quattro e mezzo e sono ancora tutti su... Qualcosa vorrà dire" s’impunta un ragazzo. Poco, vuol dire, in fondo. Quando il tavolo si chiude il picchettone si scioglie ("Andiamo a Campi viene la ministra", "Come la si chiama?" "Che lo so, ne cambiano uno l’anno. Comunque andiamo...") e i lavoratori provano a farsi forza. "Dai, via. Oggi si sapeva sarebbe stato uno 0 a 0. Non molliamo però" piglia di petto il reflusso mogio post-cori, Michele mentre ’capi popolo’ e sindacati cercano di raccapezzarci qualcosa. «Che vuol dire che si va avanti? Ma se hanno già detto che ci licenziano che devono dire?". "Devono venire a Firenze, c’è margine ancora". "Margine... io c’ho ma fame, sono con un tramezzino da stamani" dice un ragazzone. Da un calcio a una torcia rossa spenta e si avvia verso San Marco.