Un giorno con la candidata Ceccardi. "Noi stiamo dalla parte della gente"

Un bacio alla figlia, poi a Massa, Viareggio e Livorno. Un mese per battere palmo a palmo la Toscana «Il Pd ha abbandonato i cittadini per pensare alle poltrone». Timida in strada, leonessa sul palco dei comizi

Susanna Ceccardi con Giorgia Meloni (Germogli)

Susanna Ceccardi con Giorgia Meloni (Germogli)

Firenze, 12 settembre 2020 - «Quella notte scoppiai a piangere. Poi mi alzai. In piedi». La prima sliding door, la porta scorrevole che spacca in due con l’accetta del destino la storia di ognuno di noi, Susanna Ceccardi se la vide passare davanti all’alba del primo giugno di cinque anni fa (l’altra sarà l’anno dopo quando per un truciolo di voti espugnò il fortino rosso di Cascina annichilendo il Pd). Elezioni regionali 2015, il dem Enrico Rossi contro il “longobardo”, di targa Carroccio, Claudio Borghi. Poco più di una sgambata (48% a 20%, primo giro) per il governatore uscente che passeggiò sul candidato di una Lega ancora acerba in una terra di Toscana non più rossa fuoco come ai tempi di Berlinguer ma ancora abbastanza tiepida da abbrustolire ogni anelito nordico a colpi di X sul marchio Pd. In quella tornata sonnacchiosa le scintille s’accessero proprio nelle lotte intestine con una rampante Ceccardi di 28 anni, che si vide sorpassare dal maturo conterraneo Roberto Salvini, una passione per la caccia al fagiano e «l’astuzia», disse lui, di «chi vien dal commerciale». Alla sicumera della futura Leonessa di Cascina, in pole per Firenze, il Salvini della Torre Pendente oppose l’arguzia del bluff e – ignorando il bacino elettorale dell’accorta Pisa – affondò artigli, colla e poster nella provincia remota di Lari, Vicopisano, e Ponsacco giocando sull’equivoco del cognome “potente”. «Vota Salvini» (il nome di battesimo si dice poi) andò arringando nei popolosi paesotti del Pisano e scavalcò la Ceccardi.

A Firenze andò lui, in barba alle 4.401 preferenze dell’attuale candidata governatrice di centrodestra. «Che nervi, ma a ripensarci oggi dico che alla fine è meglio sia andata così altrimenti non avrei mai fatto il sindaco» dice Susanna a metà di una calda mattina di settembre sul cancello di una villetta alla periferia bellina di Massa, casa del compagno Andrea Barabotti («Ci abito ma son cascinese eh», s’affretta lei). Ceccardi, tacco nero, jeans e maglia a fiori blu, ha in collo Kinzica, spettacolo di bimba di un anno che ha il nome dell’eroina della famiglia de’ Sismondi la quale, vuol la leggenda, salvò Pisa dall’invasione dei Saraceni. Leghista ante litteram.

Al pontile di Marina c’è una Giorgia Meloni in formato “aggressive“ che aspetta la Susanna alle 11. Caffè e biscotti al volo nel giardino con le Apuane davanti, un bacino alla bimba («Fai la brava con nonna, che sei un po’ birbona. Quando torno ti do un altro bacio. Madonna come mi manca durante il giorno...»), e via in macchina. Guida Andrea, «compagno», «collega», «spalla», «amico», «consulente», «baby sitter». «È lui a scuotermi quando la sera mi butto un attimo sul divano. “In piedi - mi dice - siamo in campagna elettorale“». Il sabato è intasato. Dopo Massa c’è Viareggio, all’Eden dell’amico Zucconi. Poi intervista a Livorno. C’è popolo vero a Massa. Mamme, nonne, passeggini, disoccupati. Della vecchia destra borghese poco o nulla, qui ci sono facce da crisi con jeans strappati del mercato e ciabatte. D’altronde pure in un albergo a Firenze giorni fa una certa inversione di rotta s’era percepita.

«Sono trotskista ma voto te, Susanna» disse un cameriere. «Susy, dai. Forza che non s’arriva alla fin del mese» urla una donna. «Il Pd li ha abbandonati, pensa solo alle poltrone. Noi stiamo con la gente» il mantra della Ceccardi double face: timida in strada (saluta appena con manina alzata e occhi densi di preventiva gratitudine), una Leonessa appunto quando agguanta il microfono e declina sul locale il tormentone meloniana: «Sono Susanna, sono una madre, sono toscana». Poi scende e torna a essere la ragazza di provincia, semplice e spiccia.

I tuttofare si agitano a due passi dal molo di Viareggio. «Da Roma dicono che sei avanti di quattro punti sul Giani», «No, sei indietro ma di un soffio». Lei sgrana gli occhioni e pragmatica liquida tutti: «Fate tutto da soli... Via, dove si va? Livorno?». Ha i tempi della politica, intuisce e azzanna, allenta e riparte ma in fondo resta una giovane donna con passioni da ragazza. «Quanto mi piacciono Guccini, De Andrè...». Sembra un corto circuito emozionale, qualche fan del poeta genovese potrà pensare che l’anarchico Faber sia in procinto di rivoltarsi nella tomba ma Ceccardi sa quel che dice: «I suoi messaggi sono universali». E tutti zitti. E in fondo lei è una così, una che spiazza. Come canta un altro dei suoi idoli, De Gregori (e ridai...), quando lei arringa le folle sono subito «molecole d’acciaio, pistoni, rabbia, guerra lampo e poesia».

Insalatina di mare al volo («Quanto mi è mancato quest’estate sdraiarmi su un lettino e leggere») e si riparte con al volante Andrea con cui bisticcia ogni tre per due. Perché Susanna è di pancia e matrice pisana tosta e risponde a tono «come quando facevo il Classico e c’erano le occupazioni, con la k, e mi impuntavo per entrare in classe» ricorda divertita. «Se chiudevano la porta certo non andavo con quelli di sinistra a manifestavare ma a fare shopping in corso Italia a Pisa, questo non lo scriva eh...» si rilassa. Ma non c’è tempo, c’è da inseguire il Giani.

«Eugenio? Brava persona, simpatico. Però dice di sì a tutti...» fa Susanna armata di bastone e carota. È netta: «Fossi di sinistra voterei Rizzo, almeno è comunista davvero. Sa chi non mi piace a pelle? Quel Bonaccini...». Ama la gente diretta lei. I grossetani per dire («Con loro una stretta di mano vale un contratto») e perfino i nemici giurati di Pisa, (quei «livornesi così veri e veraci, anche quando ti contestano»). E i fiorentini? «Son cambiati, mi ascoltano». E’ buio, tempo di tornare. Apre la porta di casa e dà un bacino a Kinzica che dorme.