L'onestà intellettuale

L'editoriale del direttore de La Nazione Francesco Carrassi

Francesco Carrassi

Francesco Carrassi

Firenze, 17 febbraio 2019 - Il tempo è un buon pagatore. Perché la verità finisce per emergere in tutta la sua forza. E sappiamo anche che quando arriva il momento della verità riconoscere gli errori, soprattutto quelli commessi dalla propria parte, non è mai facile, a maggior ragione per i nostri politici e i nostri governanti. Eppure fare i conti con il passato è un passaggio fondamentale per ammetterli, analizzarli e correggerli, e riprendere sereni il cammino. Qualcuno si è reso conto che, ad esempio, sulle foibe, dopo l’armistizio del ‘43 e la dissoluzione del regime fascista, la sinistra ha a lungo, sbagliato. Finalmente. E che questo non sia fine a stesso ma serva da lezione: abbiamo bisogno di una politica che guardi con intelligente visione il più possibile imparziale al passato per indirizzare le nuove generazioni e il Paese stesso verso un futuro migliore, forte di onestà intellettuale e di senso del bene comune. Solo una classe politica così può avere le spalle larghe e non ripetere grossolani errori come il proscenio politico di adesso ci mostra nel rapporto incrinato con la Francia e nell’abbraccio dei Cinque stelle ai gilet gialli.

E ancora: il continuo attacco alle politiche europee fatto di slogan che non fanno distinguere né ragionare su quanto c’è di positivo e su quanto di negativo, ben sapendo che non tutto quello che ha il marchio Unione Europea è sbagliato e che non tutto quello che facciamo noi è encomiabile. Ma torniamo all’orrore delle foibe per rimarcare l’esempio di onestà intellettuale emerso proprio nella Giornata del Ricordo celebrata il 10 febbraio. Queste le parole dure che hanno testimoniato la consapevolezza di una svolta non solo sulla fuga dalle responsabilità, ma anche sulle mistificazioni: “Il silenzio sulle foibe non era più giustificabile. Di questa dimenticanza oggi, noi non dobbiamo tacere, assumendoci le nostre responsabilità per avere negato, sminuito, l’orrore contro l’umanità rappresentato dalle foibe e poi il dolore dell’odissea dell’esodo”.

A pronunciarle è stato Enrico Rossi, governatore della Regione Toscana, uomo profondamente di sinistra, durante la seduta solenne del consiglio regionale chiamata ogni anno a rievocare la tragedia delle foibe e delle popolazioni istriane e dalmate - popolazione di italiani - che furono perseguitate. E ha concluso Rossi: «Solo un rinnovato progetto europeo, sostanziato di valori e capace di risolvere i problemi, può affrontare i nodi e lenire i dolori che la memoria del Novecento ci consegna, evitando, come un’assicurazione sul futuro, possibili disastri». In aula è stata poi ascoltata la testimonianza di don Franco Cerri, parroco di Lunata di Lucca, originario di Zara, che ha ricordato la vicenda della sua famiglia: «Fummo costretti a lasciare, nel 1948, la nostra città di Zara e a venire come profughi in Italia, dopo che mio padre era stato ucciso dai partigiani jugoslavi semplicemente perché italiano». La Storia torna così a insegnarci quale sia la strada da perseguire. Ci dice che non è con il sovranismo e con il populismo che la nostra terra e la nostra gente potranno crescere e progredire ma con un’ Europa forte che non ha e non fa figli e figliastri, che ha una prospettiva di crescita collettiva e non solo regole, comprese quelle risibili e autolesioniste, da rispettare, che non dà solo aiuti a pioggia ma che cura ogni suo territorio per le sue specificità e le sue potenzialità. Che è l’idea di Europa dei fondatori e che ci piace.