Covid, scuola e didattica a distanza: "Studenti tra paure e incognite. Ecco come salvarli"

Parla Michela Caselli, neuropsichiatra infantile

L'aula allestita in una palestra (Foto di repertorio, Crocchioni)

L'aula allestita in una palestra (Foto di repertorio, Crocchioni)

Firenze, 27 novembre 2020 - Le difficoltà della pandemia stanno lasciando un segno evidente sull'aspetto psicologico. E a risentirne maggiormente sono i più giovani, costretti a fare i conti con sfide sempre più ostiche. Hanno bisogno di aiuto, dell'aiuto degli adulti, e di loro si fa portavoce la neuropsichiatra infantile Michela Caselli attraverso una lettera alla Nazione, che ha gli insegnanti come principali destinatari. L'appello è quello di avere fantasia, di sperimentare nuove modalità educative per intrattenere i ragazzi e distoglierli dalla noia e dalla stanchezza della didattica a distanza.

Dottoressa, nella lettera lei denuncia l'aumento significativo di quadri di scompenso psichico gravi tra i ragazzi. Questi casi li ha riscontrati di più durante la prima o la seconda ondata?

"Durante la seconda. Quando a marzo venne chiuso tutto i giovani, soprattutto gli adolescenti, diedero prova di grandi capacità di adattamento a una situazione del tutto insolita. Ci riuscirono più velocemente e facilmente rispetto agli adulti. Naturalmente non potevano prevedere che a pochi mesi di distanza, dopo aver superato la prima ondata di Coronavirus, la situazione si ripetesse: è stato proprio rivivere questa situazione che li ha danneggiati emotivamente".

Michela Caselli
Michela Caselli

E per uscirne ritiene che un ritorno alla didattica in presenza possa bastare da solo a “guarirli”?

"La didattica in presenza da sola non può fare molto. Certo, costituisce un primo ritorno alla routine e al recupero delle abitudini, ma non basta a compensare tutto quello che è successo in questi mesi. Anche una didattica a distanza fatta bene può costituire un primo passo per farli stare meglio, ma temo che per quella ci sia ancora molto lavoro da fare. In questi mesi sono stati tanti gli insegnanti che hanno sperimentato nuovi metodi per le lezioni, ma sono tutti casi tra loro isolati".

Cosa manca per arrivare a un coordinamento generale?

"Probabilmente una formazione a situazioni di questo tipo. Mi riferivo a questo parlando di nuove prospettive della didattica a distanza: servono corsi specifici per indirizzare gli insegnanti a reinventarsi tramite l'utilizzo degli strumenti digitali".

Purtroppo non tutti accettano di mettersi in gioco. Perché?

!Principalmente per la paura di sanzioni più che del contagio. È chiaro che ci sono protocolli e direttive da rispettare, ma sarebbe stato utile che chi di dovere studiasse una soluzione per venire incontro alle esigenze dei ragazzi invece di lasciarli soli". 

Quanto inciderà uno scenario del genere sul loro percorso di crescita?

"Molto. Gli effetti a breve termine li stiamo già osservando, quelli a lungo termine sono invece legati a situazioni soggettive: è vero che soprattutto tra gli adolescenti c'è maggiore capacità di resilienza, ma anche loro vengono in qualche modo plasmati dalla situazione familiare, sociale o scolastica".

Uno degli aspetti della socialità più penalizzati è quello dell'amore: anche in questo caso vedremo ripercussioni negative sul percorso di crescita?

"Difficile a dirsi, anche qui dipende dalle situazioni individuali. È chiaro comunque che l'amore al tempo del Covid, specie tra i più giovani, sta subendo importanti limitazioni: un po' per il maggiore isolamento, un po' perché la mascherina impedisce di vedere l'espressione facciale delle altre persone, ridimensionando le interazioni".

La pandemia sta insegnando ai ragazzi a responsabilizzarsi prima del tempo o piuttosto li fa soffrire per avergli strappato una fase cruciale della loro vita?

"Propenderei più per la seconda opzione, ma riguarda soprattutto casi di fragilità dei singoli. Anche qui il contesto socio-familiare gioca un ruolo fondamentale: più saldo e stabile è il tessuto relazionale, più facile sarà resistere alle difficoltà esterne. Anche gli insegnanti, come ha evidenziato nella lettera, hanno un ruolo di primo piano in questo processo. Proprio così: i ragazzi li identificano come punti di riferimento educativo e affettivo. Per questo è importante che non vengano lasciati soli".

E qui entra in gioco internet...

"Internet per i ragazzi è un'arma a doppio taglio, perché da un lato è lo strumento più efficace per mantenere i canali relazionali ma dall'altro non sempre viene utilizzato in modo oculato. Il ruolo degli adulti è proprio quello di educare i ragazzi a discernere i contenuti del web e dosare i tempi di utilizzo: è chiaro che un uso eccessivo di internet rischia di avere effetti deleteri." 

Lei dice che i ragazzi stanno morendo non di Covid, ma di noia e rabbia. Anche di paura?

"Sì, ma è una paura che riguarda non tanto la loro salute, quanto quella dei nonni. Inoltre tra i giovani c'è molta incertezza su ciò che può riservare il futuro. Per questo serve loro un modello educativo in grado di dargli fiducia e possiamo darglielo solo noi grandi".

Come?

"Mettendoci in gioco e facendo rete".

Di seguito, la lettera inviata dalla neuropsichiatra a La Nazione

Cari insegnanti, Sono una Neuropsichiatra Infantile libera professionista e vi scrivo con il cuore in mano. I nostri bambini, i nostri ragazzi, sono in sofferenza. Condivido con voi lo smarrimento di fronte a modalità relazionali con cui non ci eravamo mai davvero confrontati prima in modo serio, quelle che “transitano” su internet. Le stesse che abbiamo additato come responsabili di tanti problemi dei nostri ragazzi, chiedendo loro di limitarne l’utilizzo per il loro bene, e che poi improvvisamente, con l’emergenza coronavirus, sono divenute una opportunità.

Non ci sono linee guida per tutti noi professionisti dell’età evolutiva - psichiatri, psicologi, insegnanti, educatori – per le nuove emergenze che ci troviamo a dover gestire. Noi psichiatri vediamo un aumento significativo dell’incidenza nei ragazzi, prevalentemente preadolescenti e adolescenti, ma anche bambini, di quadri di scompenso psichico gravi, caratterizzati da stati depressivi, ansiosi, ossessivo-compulsivi, rischio suicidario, e potrei continuare ancora. I reparti di Neuropsichiatria infantile degli ospedali sono saturi e non hanno la disponibilità di posti letto per nuovi ricoveri.

Tra professionisti ci sentiamo quotidianamente per cercare di coprire le richieste che esuberano la nostra disponibilità di tempi ed energie. Di queste situazioni immagino ciascuno di voi, dalla sua specifica angolatura, veda il risvolto spesso drammatico sul percorso scolastico e relazionale.

Ritengo che non ci porterà a niente chiedere dall’alto direttive o protocolli; non avremo risposte esaustive dalla Società italiana di neuropsichiatria infantile, dal ministro, dall’assessore, dal provveditore, non solo per le “inefficienze del sistema”, ma anche perché, semplicemente, non ci sono ... i protocolli per le terapie in una situazione di emergenza con queste caratteristiche, che non si era mai verificata prima per la nostra generazione, così come le regole per una didattica a distanza efficace, saranno forse disponibili tra anni e saranno stati costruiti sulla base proprio delle nostre esperienze “in vivo”.

Il cambiamento non può che partire dal basso, ovvero da ciascuno di noi in prima persona. Credo che l’unica strada percorribile sia che ugnuno di noi si metta in gioco, inventando un nuovo modo di essere docente, terapeuta, educatore, sulla base delle nostra conoscenze e della nostra esperienza, fiduciosi in noi stessi e nei nostri colleghi, con cui dobbiamo, ancora più di sempre, metterci in rete.

Questo significherà anche sbagliare, forse essere ripresi dall’alto, proprio da coloro da cui esigiamo risposte che non arrivano, perché non seguiamo alla lettera le direttive, ma corrisponderà a prenderci davvero le nostre responsabilità verso questi ragazzi che ciascuno di noi con il suo lavoro ha deciso di “prendersi in carico”.

Li abbiamo definiti irresponsabili i nostri ragazzi, prima perché utilizzatori compulsivi di smartphone e di internet, poi perché possibili “untori dei nonni”, perché hanno cercato relazioni dirette con i coetanei, nonostante le restrizioni previste dalle numerose ordinanze.

Abbiamo forse dimenticato di imparare il loro linguaggio digitale che ci sarebbe stato tanto utile adesso; abbiamo forse dimenticato quanto i nostri ragazzi siano legati a quei nonni che adorano, che li hanno cresciuti insieme ai genitori che lavoravano. Ebbene, oggi abbiamo la grande opportunità di usare lo strumento educativo più efficace per insegnare ai nostri ragazzi cosa significhi davvero “essere responsabili”: l’esempio.

Tre ore di DAD in cui si tenta di riprodurre la didattica in presenza, materiali video e audio inviati per e-mail, non sono un modello di responsabilità, così come un colloquio psichiatrico trasferito su skype con le modalità terapeutiche classiche, non è un modello di responsabilità. E soprattutto niente di tutto ciò è efficace. Occorre proporre modalità nuove, usare la fantasia, reinventarci, metterci in discussione, esporci.

Sono anche madre di tre figli e ho avuto la fortuna di incontrare maestre che hanno fatto una telefonata al giorno ai loro alunni per mantenere viva la relazione con i bambini, professoresse che hanno proposto ore in più rispetto a quelle previste per incentivare la motivazione dei ragazzi, per portare avanti progetti che li coinvolgano.

A tutti gli insegnanti che mettono le loro energie, la loro passione, la loro professionalità in gioco, sono profondamente grata, come mamma e come professionista. Non è dovuto, ma il cambiamento parte dalle nostre libere e personali iniziative, non possiamo attendere che arrivi dall’alto. Non ce lo possiamo permettere, non ne abbiamo il tempo. I nostri ragazzi non stanno morendo di covid, ma stanno morendo di noia e di rabbia. Noi possiamo evitarlo: è questa la grande responsabilità civica a cui siamo chiamati e nessuno di noi può esimersi da questo compito.