Almanacco del giorno: 10 novembre 1975, Italia e Jugoslavia firmano il Trattato di Osimo

Un patto siglato di nascosto che Aldo Moro definì una “dolorosa rinuncia”, passato alla storia come “il trattato iniquo” e “l’ultimo tradimento ai giuliani”

La firma del Trattato di Osimo

La firma del Trattato di Osimo

Firenze, 10 novembre 2021 - Era il 10 novembre 1975 quando, con il Trattato di Osimo firmato segretamente fra Italia e Jugoslavia, si pose fine alla dubbia amministrazione del Territorio libero di Trieste. Il fascismo aveva stravolto l’idea di italianità e le frontiere – anche per ragioni di natura strategica ed economica - rappresentavano un potente strumento retorico per ricostruirla. Il trattato sancì che da quel momento in poi la zona nord e la zona sud (Zona A e Zona B) sarebbero entrate a far parte, rispettivamente, dello stato italiano e dello stato jugoslavo. Tuttavia Osimo, che Aldo Moro definì come una «dolorosa rinuncia», passò alla storia come «il trattato iniquo », «l’ultimo tradimento ai giuliani», il patto «firmato di nascosto» perché gli italiani non sapessero.

Giusto qualche tempo prima, all’interpellanza parlamentare con cui l’Msi chiedeva chiarezza su un simile trattato, il governo rispose negandone la possibilità e l’esistenza. Invece l’accordo diplomatico e internazionale ci fu e venne non solo siglato lontano da occhi indiscreti, in una villa privata di quella cittadina in provincia di Ancona. Ma venne anche condotto da figure del mondo economico-industriale piuttosto che dai rispettivi Ministri degli Esteri. Perché tanta segretezza e tante remore se di fatto, con Osimo, veniva ribadita una separazione territoriale già sancita dal Memorandum di Londra del 1954? Furono diverse le ragioni per cui questo ‘patto’ venne avversato dalle popolazioni coinvolte, soprattutto dagli esuli italiani che hanno sempre sostenuto di essere stati abbandonati dall’Italia.

Il Memorandum di Londra del 1954 aveva creato ambiguità, affidando alla Repubblica socialista federativa di Jugoslavia solo l’“amministrazione civile” della zona B, senza mai parlare di sovranità, e lo stesso fece con la zona A all’Italia. Il governo italiano aveva sempre definito provvisorio quel Memorandum, e annunciandolo pubblicamente aveva tenuto in vita, almeno fino a quel 10 novembre del 1975, le speranze degli esuli dalla zona B, che attendevano speranzosi la restituzione delle proprie case. Con Osimo, anche se in gran segreto, l’Italia metteva fine a quelle speranze che per tanto tempo aveva alimentato: l’articolo 4 legalizzava infatti tutti gli espropri del regime sui beni degli esuli.

Altra nota dolente: per quanto riguardava la salvaguardia dell’identità della popolazione di lingua italiana in territorio jugoslavo nell’ex zona B, e di quella della popolazione di lingua e cultura slovena presente nel territorio italiano dell’ex zona A, dovevano essere mantenute in vigore le misure interne già adottate in applicazione dello Statuto Speciale allegato al Memorandum di Londra. Ciascuna parte assicurava il mantenimento del livello di protezione dei membri dei due gruppi etnici. In pratica però, anche in questo caso, le cose non andarono esattamente nel modo sperato, come testimoniarono i nati nei campi profughi, i cui genitori erano esuli dalla zona B, fuggiti da Capodistria “dove non si poteva professare la propria religione né parlare la propria lingua”. Ecco perché quel Trattato suonò come un vero e proprio ‘tradimento’  per i giuliani, costretti a pagare i debiti del Paese alla politica internazionale.

Perché allora accondiscendere a un patto da cui l’Italia ne usciva svantaggiata? Le ragioni che sottendono a Osimo sono da rintracciare nel contesto geopolitico di quel preciso momento storico. In quegli anni gli Stati Uniti d’America erano un Paese indebolito dallo scandalo Watergate e dalla guerra in Vietnam. L’obiettivo del trattato dunque, come spiegarono gli storici: “Era attrarre Tito verso l’Europa e l’Occidente e premiarlo per la sua distanza dal blocco sovietico”. L’Italia, talmente interessata a blandire il confinante regime, non solo cedette rinunciando definitivamente alla cosiddetta zona B a sud di Trieste, ovvero all’ultima parte di Istria ancora non jugoslava. Ma lo fece senza pretendere nulla in cambio. Ad esempio non chiese a Tito di costruire in Jugoslavia quelle infrastrutture che avrebbero aiutato a superare la crisi del porto di Trieste, dove i cittadini, tra l’altro, vivevano anche sulla propria pelle la preoccupazione dell’arrivo di decine di migliaia di lavoratori jugoslavi, che avrebbero balcanizzato la città. La Jugoslavia invece, all’opposto, si prodigò per lanciare il porto di Capodistria. A livello economico, il trattato stabiliva poi una zona franca industriale a cavallo del confine italo-jugoslavo, in cui avrebbero dovuto sorgere nuove industrie: ma ancora una volta l’Italia ne risultava penalizzata, dal momento che Trieste aveva già perso i traffici marittimi, le industrie e i cantieri. Eppure, per ovviare a quella “dolorosa rinuncia”, sarebbe bastato attendere ancora pochi anni, e il disfacimento della Jugoslavia non avrebbe preteso quest’ultimo obolo amaramente pagato al compromesso storico. Ma nella storia, come recita un vecchio adagio, i “se…” non hanno alcun valore, come i rimpianti.

 

Nasce oggi

Ennio Morricone nato il 10 novembre 1928 a Roma. È stato compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra. Nome tra i più leggendari della musica da film internazionale, nel 2007 ha ricevuto il premio Oscar alla carriera «per i suoi contributi magnifici all’arte della musica da film». Ha detto: Io penso che quando fra cento, duecento anni, vorranno capire com’eravamo, è proprio grazie alla musica da film che lo scopriranno”.