Almanacco del giorno: 2 novembre 1975, la notte del delitto Pasolini. Il poeta che sapeva

“Abbiamo perso un poeta – disse Alberto Moravia -. E di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro in un secolo”

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Firenze, 2 novembre 2021 - Pasolini, il poeta che “sapeva”. Si è discusso molto, e ancora si discute, di quel suo celebre “Io so, ma non ho le prove”, legandolo alla ragioni del suo assassinio. Avvenuto nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, quando aveva 53 anni, all’idroscalo di Ostia, dove venne materialmente ucciso da uno o più dei suoi “ragazzi di vita”. Quel giorno, l’intellettuale ‘corsaro’ che attaccava il conformismo dei benpensanti, i costumi della piccola borghesia dominante e le oscure trame del potere, divenne anche un martire della verità. Le sue visioni, le sue idee, le sue analisi profonde e demistificatorie della società neocapitalista, segnate dalla lucida ‘retorica della provocazione’, e contrassegnate dall’amore per i poveri e per il mondo popolare, si sarebbero rivelate profezie.

Nato il 5 marzo 1922, visse negli anni ‘40 a Casarsa in Friuli con l’amatissima madre e il fratello, che morì partigiano. Di professione insegnante, per sfuggire allo scandalo provocato dalla pubblica denuncia di “corruzione di minori” legata alla sua omosessualità, che gli costò anche l’espulsione dal Pci, nel 1950 si trasferì a Roma dove, col passare degli anni, la sua vicenda biografica si identificò con quella spesso agitata dello scrittore, dell’artista, dello studioso e dell’intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere, anche in sede giudiziaria, la propria radicale diversità. Da buon friulano, era un uomo apparentemente chiuso, preso dal suo sentirsi “inorganico” e “disomogeneo” al mondo. “Raccogliersi in sé e pensare”, il verso da ‘La meglio gioventù’ dei primi anni ‘50, esprime in sintesi tutto questo. E lo rappresenta ieri come oggi, che a mancarci è il poeta riflessivo, oltre all’intellettuale che, senza sconti, denunciava – non di un singolo ma dell’Italia intera - quel “processo di adattamento alla propria degradazione”, che tanto indignò le coscienze dei ‘tutti’ chiamati in causa. 

La vita di Pasolini è una di quelle che non si possono raccontare nei margini di una comune biografia. Non basta elencare i titoli delle sue opere, come si potrebbe fare di un qualsiasi altro autore. Non basta limitarsi a ricordare le raccolte di versi, riunite poi sotto il titolo ‘Bestemmia’; o i romanzi che lo hanno reso famoso e famigerato allo stesso tempo, come lo scandaloso ‘Ragazzi di vita’. O i testi teatrali come i film di successo, da ‘Accattone’ a ‘Mamma Roma’, da ‘Medea’ a ‘Uccellacci e uccellini’. Dove, per quel viaggio surreale nelle campagne romane e nella storia, scelse un Totò ormai cieco, perfetto nella famelica veste dei miseri. Tutto questo non può bastare a comprendere la vera ragione per cui i suoi innumerevoli scritti critici, teorici e civili, lo hanno trasformato in una presenza costante, e per alcuni ancora scomoda, nel dibattito culturale italiano e non solo.

Pasolini, quello ‘scandaloso’ punto di riferimento, continua imperterrito ad affascinare le nuove generazioni di studiosi e studenti. E continua a farlo nonostante qualcuno, quel 2 novembre del 1975, abbia voluto non solo uccidere barbaramente il suo corpo, ma anche infangare la sua storia, macchiare il suo ricordo, annientarlo nel presente e nel futuro. Seppellire lui e la sua ombra, zittire la sua denuncia bruciante, scansare il suo dito puntato, far tacere per sempre quella sua voce sottile ed esatta. ‘Pasolini, un delitto italiano’ è il titolo del film che gli dedicò Marco Tullio Giordana. Chi, 46 anni fa, di quel ‘delitto italiano’ si è reso colpevole, forse oggi, contrito, ammetterà di non essere riuscito a liberarsi di lui, anzi, di aver ottenuto l’effetto contrario. Dal momento che Pasolini è l’unico autore ancora in ‘vita’, rispetto alla generale, colpevole dimenticanza riservata alla gran parte della cultura letteraria del secondo Novecento.

Poco importa se le sue critiche “all’edonismo consumistico” e al “conformismo interclassista” appartengano oramai al passato. Se abbia davvero colto, segnato e rappresentato un momento di profondo cambiamento della nostra società. Non ha più importanza, se nel passaggio benevolo e drammatico all’omologazione del materialismo, sia stato la Cassandra inascoltata del tracollo del dopo boom economico. E non contano neanche più le sue assurde soluzioni che proponeva al ‘problema’: la chiusura della scuola dell’obbligo e della televisione. Poco importa se nel Pasolini romanziere, regista e drammaturgo, l’inconfondibile vena polemica e provocatoria fosse davvero frutto dell’essersi misurato con una vita difficile e sofferta, prima patita, poi esibita, sempre difesa. Ciò che di immortale  resta fra l’opera e l’uomo, fra la pagina scritta e la denuncia espressa in pubblico, non è l’incisività del messaggio con cui tratteggiava un certo sottoproletariato, che non gli era del tutto sconosciuto. Ma l’attualità di una colpa - quella di aver squarciato il velo dell’ipocrisia – che continua ancora oggi ad espiare. La colpa, che è dei poeti autentici, di smascherare gli uomini nel bel mezzo del Carnevale del mondo, e di svelare, in ciascuno, quello che avrebbe dovuto rimanere celato. Pasolini è dunque vivo nelle sue nostalgie, nelle sue visioni, nei suoi tormenti di creatura umana. Ciò che è morto con lui, in quella tragica notte di novembre, coincide invece con tutto quello che di lui ci è stato negato: tutto quello che avrebbe detto del nostro mondo, delle nostre vite, dei nostri politici, dei nostri giovani e di noi, e che non sapremo mai.

Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file – pronunciò Alberto Moravia nell’orazione funebre -. Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto, in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro. Poi abbiamo perduto anche un romanziere. Il romanziere delle borgate, il romanziere dei ragazzi di vita (…). Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono, no? Pasolini fu la lezione dei giapponesi, fu la lezione del cinema migliore europeo (…).  Infine, abbiamo perduto un saggista (…). Benché fosse uno scrittore con dei fermenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico, tuttavia aveva un’attenzione per i problemi sociali del suo Paese, per lo sviluppo di questo Paese. Un’attenzione, diciamolo pure, patriottica che pochi hanno avuto. Tutto questo l’Italia l’ha perduto. Ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni. Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso: è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese, come Pasolini stesso avrebbe voluto”.

 

Nasce oggi

 

Gigi Proietti nato il 2 novembre 1940 a Roma. Genio e maestro del teatro, è morto lo stesso giorno del suo compleanno,  il 2 novembre 2020. Il suo talento, la comicità, i suoi spettacoli-fiume, i personaggi, gli scioglilingua, le parodie come le barzellette mimate, hanno conquistato il pubblico, a teatro come in televisione. Attore, doppiatore, scrittore, regista, cantante e direttore artistico: una straordinaria carriera per uno dei più grandi artisti del nostro Paese. Ha detto: “Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ride, mi insospettisce”.

 

Maurizio Costanzo