Almanacco del giorno: 11 novembre 1918, la Grande Guerra è finita

La firma dell’armistizio di Compiègne sancì la fine del conflitto. Il mondo, esausto, smise di combattere, lasciandosi alle spalle una scia di sangue e milioni di morti

Soldati della Grande Guerra

Soldati della Grande Guerra

Firenze, 11 novembre 2021 - Venne chiamata ‘Grande Guerra’ perché non si era mai visto nulla di simile nella storia dell’umanità, sia per estensione di fronti che per numero di Stati coinvolti. Prima di quel momento, non c’erano mai stati tanti soldati in trincea, tante armi nuove e micidiali in dotazione agli eserciti, tante industrie impegnate nel sostenere lo sforzo bellico. Dopo cent’anni di ‘quasi pace’, nell’estate del 1914 iniziò la Prima guerra mondiale, una carneficina che coinvolse - e sconvolse - quasi tutti i continenti, gran parte delle Nazioni e dei loro abitanti, cambiandone per sempre il destino. Per i sopravvissuti a quell’orrore, un mondo era finito, e la parola ‘pace’ significava una cosa sola: “prima del 1914” .

L’Italia, che entrò in guerra il 24 maggio del 1915, era un Paese povero e impreparato. Padri di famiglia, figli e mariti partirono da un giorno all’altro per il fronte, abbandonando coltivazioni e campi, che spesso rappresentavano l’unico sostentamento per intere famiglie. Si ritroveranno ben presto in trincea per difendere il proprio territorio e soprattutto per riportare la pelle a casa. Il momento più difficile fu la disfatta di Caporetto nell’ottobre 1917, ma la tenace resistenza sulla linea del Piave consentì la riscossa fino alla resa degli austriaci a Vittorio Veneto il 4 novembre. L’entusiasmo per la vittoria era però destinata a durare poco, tali e tanti erano stati i sacrifici imposti al Paese. Finalmente, dopo una lunga scia di sangue di milioni di morti, feriti e vittime civili, l’11 novembre 1918, con la firma dell’armistizio di Compiègne tra l’Impero tedesco e le potenze Alleate, si mise la parola fine alla Prima Guerra Mondiale. Erano stati mobilitati 70 milioni di uomini, di cui 60 solo in Europa: quando vennero firmati gli armistizi tra i belligeranti, i sopravvissuti che avevano assistito a crimini e orrori indicibili, dovettero adattarsi a un mondo nuovo e fortemente instabile.

Le tracce di ciò che la Grande Guerra è stata per l’Italia sono ovunque, a cominciare dai monumenti ai caduti che s’incontrano nelle piazze dei piccoli paesi come delle grandi città. Nelle zone di frontiera è ancora vivo l’eco del conflitto. Il Trentino in particolare, mostra ancora oggi i segni della guerra, testimoniati da trincee e fortificazioni permanenti. Dall’Adamello alla Marmolada, passando per Riva del Garda e Rovereto, è tutto un susseguirsi di resti e di memorie di quella sanguinosa guerra, molti salvati ed esposti nei musei del ricordo. Sul Monte Cimone restano le trincee, sul territorio della Pedemontana Veronese numerosi forti. Uno dei sacrari militari più grandi, quello del Monte Grappa, contiene le spoglie di 22.910 soldati. Il nome dell’Isola dei Morti, lungo il fiume Piave, ricorda i tantissimi caduti ritrovati in questa zona. A Pederobba sorge lo struggente mausoleo francese, con la monumentale statua delle madri Francia e Italia che sorreggono il figlio morto. E poi il Friuli Venezia Giulia, coi monumenti, i sacrari, gli ossari dedicati alle vittime.

La storia, com’è noto, la scrivono sempre i vincitori. Nella Grande Guerra però, per la prima volta, a scriverla sono stati anche gli stessi soldati, offrendo, attraverso i loro taccuini, la testimonianza autentica dei protagonisti: certamente individuale e parziale, ma inconfutabilmente vera. Se oggi sono arrivati fino a noi gli atti di eroismo, gli orrori e la descrizione della durissima vita di trincea, lo dobbiamo in buona parte a loro. Si calcola che durante la guerra viaggiarono ben quattro miliardi di lettere e di cartoline postali. La paura della morte, la lontananza dalle famiglie e la nostalgia di casa, accese negli uomini il bisogno di scambiarsi notizie e rimanere in contatto attraverso l’unico mezzo che avevano a disposizione: la scrittura. A rileggerle oggi, quelle missive ci parlano di chi, in quella logorante guerra di trincea, era stufo marcio “di questo fango che ci arriva alle ginocchia”; di chi “non si toglie i vestiti da 5 mesi” e di quanti, in preda a “pensieri furibondi”, sentivano come in sogno “le risate e le mille melodie del ritrovo della cena di Natale”, mentre loro si trovavano invece “sbattuti qui, nel settore settentrionale del fronte occidentale, col mantello appesantito dal fango e le mani spaccate e piagate dal freddo” a lanciare “sguardi stanchi alla trincee tedesche”.

Alcune lettere sono tenere e altre disperate, alcune stringate e certe altre prolisse. Molte sono in dialetto, piene di errori, sgrammaticate: altre invece coltissime. In tutte, con la calligrafia inclinata e ordinata dell’epoca, risuona ciò che resta della voce giovane di quei soldati. Zittita dal colpo di un fucile, ammutolita nel sangue da un bombardamento. Spenta dal ricordo che va affievolendosi, e dal tempo che ingiallisce le foto di una triste gioventù. La carta fa il suo mestiere, non tiene mai nulla per sé. E come un tempo ha raccolto i loro pensieri per consegnarli a madri, mogli, figli e al mondo, ora, giorno dopo giorno, assorbe e sbianca le loro parole. Ma senza cancellarle mai del tutto.

Nasce oggi

Fedor Dostoevskij nato l’11 novembre 1821 a Mosca. È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. Ha scritto: “Non la forza, ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo”.