Siena, 30 gennaio 2014 - ABITO BLU, camicia bianca, Giuseppe Mussari arriva prima di tutti. Cogliendo di sorpresa fotografi e cameraman che lo aspettavano davanti al Palazzo di Giustizia. Quando se ne accorgono, ormai, è già tardi.

Lui, l’ex presidente di banca Mps e Abi, è salito al terzo piano dove si trova l’aula in cui si svolge il processo immediato. E’ molto presto, non c’è nessuno. Solo il suo avvocato e amico Fabio Pisillo. Dalla cartella di cuoio estrae un fascicolo di ricolmo di carte. Le sue carte, quelle che di lì a poco utilizzerà per difendersi dall’accusa di ostacolo all’autorità di vigilanza. Si mette a rileggerle. Pochi minuti e arrivano alcuni giornalisti, gli si avvicinano, una stretta di mano, uno scambio di battute, un mezzo sorriso. Poi arriva l’altro suo difensore, il professor Tullio Padovani. Entrano insieme nella stanza attigua all’aula per un ultimo briefing prima dell’udienza.

Man mano che passano i minuti lo spazio si riempie. Arrivano gli altri imputati e i loro difensori, i pm. Arriva la stampa: per l’occasione si è mosso praticamente tutto il giornalismo nazionale, i camion regia delle tv sono parcheggiati davanti all’ingresso del tribunale, le telecamere resteranno puntate per tutto il giorno. E, per la prima volta, si vede anche il ‘pubblico’, senesi che arrivano al Palazzo di Giustizia cui, in tutti questi mesi, non si erano mai avvicinati. D’altronde l’occasione è da non perdere: è la prima volta, dopo un anno, che l’ex presidente Mussari si fa rivedere. Dall’ultimo interrogatorio, nessuno lo aveva più incontrato (a parte gli amici più fidati, quelli che non gli hanno mai voltato la faccia). Si era ritirato «per una scelta personale» come ammette lui stesso, per stare lontano «da ogni eccesso mediatico». Ieri, però, era il suo turno e non poteva tirarsi indietro.

CRONISTI E CURIOSI, però, devono attendere: i pm decidono, infatti, di partire con le domande ad Antonio Vigni e per quasi quattro ore Mussari rimane seduto al suo posto. Immobile. Impegnato, per brevi momenti, solo a giocherellare con un elastico tenuto tra le mani, uno sguardo e qualche tocco allo smartphone. Nient’altro.

Con Baldassarri e Vigni quasi si ignorano, reciprocamente. Non si sono più visti né parlati e, d’altronde, ognuno di loro — quando è stato il proprio turno — ha ribadito come a unirli non ci fosse nessun legame personale. Nessuna confidenza, né amicizia.

L’INTERROGATORIO di Vigni va avanti fino all’ora di pranzo, ma non c’è tempo per una pausa. Il presidente del collegio sospende per poco più di mezz’ora, giusto sufficiente per ritrovarsi tutti al bar del tribunale — avvocati, cronisti, pm — per un panino e un caffè e niente più. Lui no. Mussari non si muove dall’aula, aspetta il proprio turno e, quando lo chiamano a parlare, comincia con lo show. Preparato meticolosamente. Puntellato di documenti e di note che chiede il permesso di consultare dalla cartellina ordinata e impeccabile. Per quasi tre ore non perde un colpo. E’ dimagrito, il volto segnato, i capelli più corti e più grigi ma, nonostante tutto, l’impronta è quella che era. Non vacilla. Non piega la testa né la voce. Anzi ogni volta rilancia, ribatte, tiene alto il tono del confronto anche se, spesso, abbassa quello della voce allontanandosi dal microfono. Spesso si rifugia in un «non so, non ricordo». Si lascia andare a una sola battuta e un sorriso, seppur amaro, con cui accompagna quella parola stonata — «maluccio» — che è la risposta a chi gli chiede conto della sua padronanza della lingua inglese, in riferimento alla famosa conference call con Nomura. Ma le braccia tenute a lungo incrociate sul petto raccontano una chiusura più netta di quanta vorrebbe, forse, farne percepire.


Quando tutto è finito si alza, torna quasi al limite dell’aula, dove la balaustra delimita l’area inaccessibile al pubblico. Si ‘butta’ su una sedia, e lì tira un sospiro più lungo; uno dei suoi legali gli passa una bottiglietta d’acqua e solo allora si vede che le mani tremano un po’.
Ai cronisti gli chiedono un commento dà poca soddisfazione: si limita ad alzare le spalle e a rispondere, con un soffio, «mi sembra di aver parlato anche troppo».
 

Il presidente del collegio Grassi chiude l’udienza e dà il ‘rompete le righe’ quando mancano pochi minuti alle sei del pomeriggio. Mussari è il primo a lasciare l’aula, circondato dai suoi avvocati. Fuori dalle porte del tribunale lo aspettano cronisti e telecamere, ma lui dribbla tutti velocemente e si tuffa in una Yaris rossa che lo aspetta con il motore accesso e che, in un baleno, sparisce. La giornata tanto attesa è passata. Tra due settimane si torna in aula: chissà se l’ex presidente deciderà di esserci, ancora.