Firenze, 22 aprile 2011 - SARÀ dedicata alla memoria di un fiorentino, lunedì 25 aprile, la cerimonia della Liberazione, a Roma, nella solennità dell’Altare della Patria. Gli eredi di Mario Pucci, ucciso da una squadraccia fascista nel 1938, riceveranno la medaglia d’oro al merito civile dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono stati invitati il presidente della Regione, Enrico Rossi, il prefetto, Paolo Padoin, il presidente della Provincia, Andrea Barducci, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Ma anche il sindaco di Scandicci, Simone Gheri: perchè Mario Pucci era nato il 19 luglio 1918, a San Quirico a Legnaia, nel comune di Casellina a Torri, diventato comune di Scandicci nel 1929.

 


Che cosa fece il Pucci per meritare, sia pure 73 anni dopo, la medaglia d’oro? Morì sotto tortura, salvando dalla violenza fascista alcuni amici considerati «sovversivi» dal regime, solo perchè avevano lanciato manifestini antifascisti.

 


Accadde la sera del 16 giugno 1938. Mario Pucci aveva vent’anni ed era iscritto alla gioventù fascista. Mentre tornava a casa, in via Torcicoda, vide alcuni amici lanciare manifesti che non dovevano piacere ai seguaci del Duce. Quei fogli fecero appena in tempo a toccare terra che arrivò una «squadra» del circolo fascista. Pucci venne circondato: gli chiesero se avesse visto chi aveva lanciato i manifesti. Lui negò. Non fu creduto. Lo portarono nella sede del circolo, dove lo sottoposero a un violento interrogatorio. Ma il giovane Mario, nonostante facesse parte del gruppo regionale fascista «Guido Fiorini», non denunciò nessuno di quelli dei volantini, nonostante non la pensassero come lui.

 

Solidarietà e libertà delle idee albergavano in quel ragazzo, nonostante fosse cresciuto — lui nato nel 1918 — nel pieno del dominio fascista. La Nazione del 17 giugno 1938, nel dare la notizia della sua «misteriosa scomparsa», lo descriveva come «un bravo ragazzo, timido, stimato, appassionato di sport, per nulla curante di vicende politiche». Il corpo venne ritrovato il 19 giugno, in Arno, vicino alla pescaia di Santa Rosa. Due perizie medico legali esclusero «presenza di lesioni e colluttazioni». Chi coordinava le indagini puntò sulla sparizione del portafogli e del portasigarette per concludere: rapina finita male. Depistaggio perfetto. Soltanto nel 1945, in una Firenze che cominciava a riprendersi dallo strazio della guerra e respirava di nuovo le libertà democratiche, la verità su Mario Pucci venne fuori: era stato prelevato dalla «squadraccia».

 

E morì per le percosse. L’istruttoria, riaperta dal procuratore generale della Repubblica, durò due anni. Dalle indagini e dalle testimonianze risultò che il Pucci «era stato fermato da noti fascisti che lo avevano condotto a forza nella sede del gruppo rionale fascista Luporini per fargli delle domande: il violento interrogatorio ne provocò la morte». Il magistrato accusò «persone ben individuate di sequestro di persona e omicidio preterintenzionale commesso per motivi politici fascisti». Ma quei reati rientravano nell’amnistia. Lo stesso magistrato dichiarò che «non si doveva procedere contro gli imputati».

 


Nel 2008 Romano Bechi chiese per Mario Pucci un riconoscimento alla memoria. E il professor Ivano Tognarini, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, appoggiò la richiesta. Ora accolta dal presidente Napolitano.

 


Bisogna aggiungere che ai fiorentini amanti del calcio (in pratica tutti) il nome di Mario Pucci è sempre stato familiare. Magari non ne conoscevano la storia, ma sapevano e sanno che si chiama «Mario Pucci» il campo sportivo comunale di via del Pollaiolo. Qualche anno, fa Palazzo Vecchio si trovò in difficoltà: i dirigenti dell’Audace Legnaia volevano dedicarlo a un loro glorioso presidente, Giulio Bacci. In molti a Legnaia si opposero. Eugenio Giani, assessore alla toponomastica, trovò un compromesso: intitolare a Bacci il complesso sportivo e lasciare la dedica del campo a Mario Pucci. Da martedì con l’aggiunta: «Medaglia d’oro al merito civile».