Prato, 21 febbraio 2010  —  UNA EREDITA’ milionaria in immobili di pregio. A beneficiarne è il parroco di Seano, piccola frazione in provincia di Prato, don Ernesto Moro, che ha ricevuto il sostanzioso lascito — si sussurra del valore di 5 milioni di euro — da una «fedelissima» (sua) e della sua parrocchia, scomparsa nel 2004 senza figli e parenti diretti. Immobili dissequestrati dal tribunale solo da poco e di cui il parroco non ha potuto ancora disporre: alcuni parenti della donna hanno tentato di invalidare il testamento.

 

Tant’è: il lascito è strettamente personale e la signora lo ha intestato direttamente a don Ernesto e non alla parrocchia, men che meno alla Diocesi di Pistoia a cui la chiesa di Seano fa riferimento. Un fatto tanto curioso da suscitare un gran polverone, a Seano (e non solo): il paese è piccolo e la gente mormora. Sono stati gli stessi parrocchiani a vedere nel gesto della signora un «debole» per don Ernesto, prete carismatico (e molto chiacchierato) che ogni domenica riempie la chiesa di fedeli provenienti da tutta la Toscana, anche grazie alla sua nomea di «guaritore». Ma l’ipotesi del presunto innamoramento è stata smentita dallo stesso don Ernesto, affrettatosi a chiarire che «il nostro rapporto si basava solo su una grande amicizia e stima».

 

Storia passata sotto silenzio addirittura per sei anni (fu don Ernesto, durante un’omelia, a rendere pubblica l’eredità), tutt’al più sussurri e strizzatine d’occhio, fino a quando il sacerdote, poche settimane fa, ha chiesto ai fedeli — durante la benedizione delle case — un’offerta per coprire il debito da 25mila euro necessario per dotare la chiesa di nuove campane. Apriti cielo... «Ma insomma, se ha ricevuto un’eredità di 5 milioni — hanno tuonato i parrocchiani — come si permette di chiedere altri soldi?».
 

 

A (cercar di) mettere chiarezza nell’intricata vicenda, è stato il vescovo di Pistoia, monsignor Mansueto Bianchi, che ha scritto a don Moro esigendo «massima trasparenza sull’uso fatto dei soldi». «Tutto ciò che un parroco riceve — prosegue monsignor Bianchi — non appartiene a lui ma alla parrocchia: anche quando riceve beni a titolo personale, l’uso deve avvenire nel quadro dei valori evangelici di carità e servizio. Chiedo, dunque, a don Ernesto Moro di rendere pubblico il gesto con cui destinerà alle missioni i denari ricavati da quella eredità in modo che nessuna ombra possa rimanere sulla vicenda e sulla sua persona».

 

Detto, fatto. Don Ernesto avrebbe già destinato parte di quei soldi — il ricavato della vendita della sola mobilia di una delle due case — a una missione a Cuba. «Le opere di bene si fanno in silenzio — ha risposto don Ernesto — ma, giustamente, garantirò massima trasparenza sull’uso che farò dei soldi, una volta che avrò venduto le case. Sono nato povero — ha aggiunto — e finirò i miei giorni ad aiutare i più bisognosi».