Firenze, 7 gennaio 2010 - E’ tanto amareggiato da arrivare a definirsi un «ex toscano». «La Toscana ha rifiutato tanti dei sui cittadini illustri, io sarò uno di più». Ore 17 del 6 gennaio: Paolo Macchiarini è a Londra, appena uscito dalla sala operatoria. Un cervello in fuga, come si dice, che da 19 anni lavora all’estero. Ha lasciato la Toscana, l’Italia, convinto che qui non si potesse «davvero fare ricerca».

Poi lo scorso anno, il tentativo di ritorno. Il chirurgo che ha realizzato il primo trapianto di trachea senza immunosoppressione è stato chiamato dall’assessore regionale toscano alla salute, Enrico Rossi, per collaborare con il sistema sanitario pubblico. La Toscana è la sua terra, lui è di Viareggio. Accetta. E da marzo opera a Careggi: «Ho fatto 30 interventi — dice —. Tutti pazienti rifiutati dagli altri ospedali d’Italia per la complessità dei casi». Ma il cammino di rientro si complica. Il mondo accademico fiorentino mal digerisce la chiamata diretta. Il curriculum di Paolo Macchiarini viene impugnato da una commissione universitaria che «valuterà se è all’altezza».

Alla seconda deliberazione, nulla di fatto. Manca la terza. «Qui si decide ancora in base alla politica e non al merito, credo che non aspetterò, ho già deciso, le lascio immaginare con quale stato d’animo». Boccia l’Italia per la seconda volta Macchiarini. Senza appello. «Il mondo ospedaliero mi ha accolto a braccia aperte. Coerentemente a ciò che faccio, avevo chiesto un riconoscimento a livello universitario. Ma non mi va di essere lo spunto di giochi politici che non mi piacciono. Se questo è l’esempio per i giovani, benvenga il mio licenziamento».

Cinquantun anni. Dopo la laurea a Pisa Macchiarini si è trasferito negli Usa per specializzarsi sui problemi delle vie respiratorie. Ha lavorato anche in Germania prima di approdare a Barcellona, dove dal 2005 dirige il servizio di chirurgia toracica dell’Hospital Clinic. Ieri, a Londra, ha restituito il respiro a un bambino, con un trapianto di trachea che ha messo in moto la comunità scientifica internazionale. Una sfida che si rinnova ogni giorno con l’obiettivo di sfondare il muro dell’ingegneria dei tessuti, utilizzando lo stesso metodo per trapiantare la laringe nei pazienti affetti da tumore.

 

Per lei è pronto un contratto da ospedaliero, se l’Università di Firenze non l’accoglierà come ordinario cosa farà?
«Con l’assessore Rossi e con la direzione generale di Careggi abbiamo un progetto molto importante. Vedremo. Quel che mi interessa è dare un messaggio positivo ai giovani. Non è giusto pemettere ai figli dei potenti di andare avanti e non incentivare quelli che non hanno mezzi ma hanno facoltà intellettuali migliori. Chi sceglie di fare il medico lo deve fare per vocazione e non per la carriera al top».

Stanno valutando il suo curriculum, è un fatto che la umilia?
«C’è un mondo accademico che purtroppo ha bisogno di diverse riunioni per decidere. Io la risposta la trovo per strada, con la gente che mi ringrazia perché salvo vite».
Tornerà in Italia?
«Non ne sono sicuro. Non voglio che il mio nome venga strumentalizzato per sterili battaglie politiche. Sto molto bene all’estero: i miei programmi di ricerca hanno grandi sviluppi. E parlano i fatti: il 23 novembre ho ricevuto la cattedra onoraria in chirurgia toracica al London University College, per importanza la quarta università mondiale. Ho vinto una cattedra di ricerca traslazionale al Karolinska, dove si decidono i premi Nobel. Le commisioni si sono espresse all’unanimità, per me è un onore immenso, lascio a voi giudicare l’effetto che può fare il fatto che nel mio Paese, nella mia regione, prima mi chiamano, poi mettono in dubbio il mio curriculum e poi hanno bisogno di tre sedute per una valutazione».

Ci tiene a incoraggiare i giovani.
«Io ormai la mia carriera l’ho fatta. Voglio dare un esempio ai giovani che vedono un mondo dove i meriti non servono ad andare avanti».
Quindi cosa consiglia agli aspiranti medici?
«Di continuare gli studi perché l’università italiana per la formazione è di ottimo livello. Poi di perseverare, lottare sempre. Perché vedendo come vanno le cose, in base alla politica e non alla meritocrazia, si perdono voglia ed entusiasmo. Si spendono denari per far sviluppare fiori intellettuali fantastici, come l’Italia ha sempre prodotto, per poi farli fuggire o lasciarli completamente rimbambire. Che peccato».