È l’ora della verità, Conte ter difficile. L’amo di Salvini: via lui, poi ragioniamo

Consultazioni al Quirinale. Palazzo Chigi vuole allargare ma per adesso non ci riesce. Il ruolo centrale di Italia Viva

di Antonella Coppari

L’incubo di Giuseppe Conte si materializza ogni giorno di più ed ha sempre le fattezze di Matteo Renzi. Ancor prima che venga conferito l’incarico, è chiaro che tutto dipenderà dalla possibilità di riaprire il dialogo con lui: di qui voci di contatti, smentite seccamente dagli interessati. Gli occhi ora sono puntati sul Colle dove il giro di consultazioni – iniziato ieri con i presidenti delle Camere e l’ex capo dello Stato, Napolitano – entra nel vivo: in scena ci sono partiti. A chi bussa al suo portone Mattarella chiede chiarezza. E oggi dai renziani vuole sapere se Conte gli sta bene o no. "Dipende dai programmi non dai nomi", la risposta.

Domani ai Cinquestelle domanderà se il ritorno in maggioranza di Italia Viva è ancora off limits: ben più incerta la replica perchè il Movimento è dilaniato tra chi è pronto a riaprire le porte al ’traditore’ e chi, come Di Battista alza le barricate: "Deve restare fuori". A meno che tra oggi e domani non si materializzano altri arrivi, per Conte la chance di tornare in sella passa per un accordo con Renzi. In ogni caso, quel drappello fin qui fantasma dovrebbe essere numeroso. Al Colle non basterebbe neppure raggiungere con il fiato corto quota 161 senatori. Il leader di Iv lo sa, si sente in posizione di forza. Ieri aspettava un gesto da parte del premier, una chiamata, che non è arrivata. "Si conferma di un’arroganza insopportabile", sbotta con i suoi. Conte ha provato a fare a meno di lui ma, salvo colpi di scena, non c’è riuscito e il senatore di Rignano è determinato a far pesare i suoi voti. Non è solo l’umiliazione a frenare il premier uscente: la strada che conduce a Renzi è pericolosa. Un po’ per la resistenza dei duri di M5s, molto perchè quasi certamente lui chiederebbe la testa di Bonafede: appena tre giorni fa, però, i pentastellati tra il sacrificio del premier e quello del guardasigilli – ultimo baluardo della loro ideologia giustizialista – hanno scelto di affossare Conte. E non hanno cambiato idea. Senza l’accordo con Renzi, il Conte ter è a forte rischio di fallimento. A quel punto tutto si riaprirebbe e non è escluso che possa tornare in gioco la stessa destra.

Ieri Salvini ha lanciato un segnale difficilmente equivocabile: "Prima se ne va Conte poi ragioniamo. La via maestra per noi sono le elezioni" Più tardi corregge il tiro specificando che l’unica opzione sarebbe un governo di destra. Ma il segnale è stato lanciato. Ove fallisse Conte, si aprirebbero due vie principali, con relative subordinate: la prima, un nuovo premier con la stessa maggioranza. È opinione comune che Renzi candiderebbe un pentastellato, Di Maio oppure Fico. Il ministro degli Esteri ha negato la sua disponibilità, ma in questi casi la smentita è repertorio obbligato.

Se ogni altra subordinata si rivelasse impraticabile, difficilmente il presidente della Repubblica convocherebbe la elezioni a breve: la data dell’11 aprile, che circola nei corridoi del Parlamento, al Quirinale non la prendono quasi in considerazione. Bisognerebbe arrivare almeno a giugno-luglio ma in casi del genere si sa quando si parte e non quando si arriva. Sarebbe dunque necessario un governo totalmente legittimo e quindi con la fiducia piena del Parlamento. Di fronte a un appello in tal senso del capo dello Stato lo stesso centrodestra non potrebbe restare insensibile. Certamente non FI, ma probabilmente le acque non si smuoverebbero solo nel partito azzurro.