Se la scuola rincorre le ansie dei genitori

L'editoriale della direttrice della "Nazione"

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 17 gennaio 2020Sgombriamo il campo dalle ipocrisie: non fanno bene a nessuno, tanto più quando si parla di scuola, di educazione, di infanzia. E allora alzi la mano il genitore a cui non interessa sapere in quale classe finirà il proprio figliolo. E non solo da un punto di vista strettamente didattico. L’arte di essere madri e padri non può prescindere dalla comprensibile premura sociale: è del tutto normale che faccia piacere conoscere chi saranno e come saranno i futuri compagni di classe del pargolo. Anche in chiave non politicamente corretta: ricchi, poveri, del centro o della periferia, italiani o stranieri? In altre parole: simili o diversi da noi? Non giudico i genitori, dunque. Però la scuola non è né un padre né una madre, e la sua importanza fondante nasce anche dalla necessità di dare ai futuri adulti una contezza del mondo differente da quella familiare. Che sia equa e giusta, tanto per cominciare, almeno sulla carta, almeno nelle intenzioni. Per questo suscita tanto stupore e tanto fastidio la lettura dei siti web di molti (sigh!) istituti sparpagliati per l’Italia, non solo quello romano finito nell’occhio del ciclone. Scuole (elementari, medie, superiori) che sentono il bisogno di sottolineare di "non avere alunni rom". O di "avere pochi studenti stranieri". O ancora: di "avere tanti iscritti provenienti dalle classi sociali medio alte".

Fino a veri capolavori sociolinguistici, parafrasando: "Da noi i ragazzi hanno abiti firmati". Ecco, su questa ultima esternazione mi taccio. Il classismo a scuola non è certo un male contemporaneo. Ai tempi dei miei genitori, parliamo degli anni ’50, era al contrario un elemento imprescindibile. Per esempio: i figli di , come si diceva anche allora, andavano alle medie, tutti gli altri all’avviamento professionale. E ancora: i soliti figli di facevano il classico, gli altri le magistrali. La scuola era anche (forse soprattutto?) una questione economica. Far studiare un figlio era anche (e soprattutto) un riscatto sociale. Sembrano tempi lontanissimi, eppure stanno in una qualche misura tornando. E questa, vi assicuro, non è una buona notizia. © RIPRODUZIONE RISERVATA