La sicurezza non è mai un optional

Si lavora per vivere, non per morire

L'azienda dove è morta Luana D'Orazio (foto Attalmi)

L'azienda dove è morta Luana D'Orazio (foto Attalmi)

Firenze, 5 maggio 2021 - Un giorno qualcuno ci spiegherà perché la povera Luana, 23 anni ancora da compiere, è morta straziata da un macchinario mentre lavorava. Si lavora per vivere, non per morire: nel Terzo millennio questo concetto dovrebbe essere già di serie nel nostro dna. Dovrebbe, certo, ma di fatto non è così. Non lo è perché da gennaio a marzo in Toscana sono già dieci le persone morte in un cantiere, o in una fabbrica, o su una strada mentre stavano lavorando. La-vo-ran-do. Dieci persone sono una cifra enorme, spaventosa, agghiacciante, nel 2021. Una cifra che può muovere una sensazione sola: quella della vergogna.

Un giorno qualcuno ci dirà perché quel macchinario ha straziato Luana, sì. Ce lo dirà un’inchiesta della Procura di Prato, che svilupperà il suo corso, individuerà le responsabilità e le colpe, le metterà nero su bianco. Ma c’è un però. Scriviamo e parliamo spesso degli stranieri che hanno un rapporto per così dire problematico con il rispetto delle norme che disciplinano la sicurezza sul lavoro. Le denunce dei sindacati sono frequenti e documentate, nonostante sia difficile muoversi nel sommerso.

Qui però non stiamo parlando di cinesi. Per una volta stiamo parlando di casa nostra. Eppure ieri ci siamo dovuti fermare. Avremmo voluto intervistare qualche responsabile dell’Asl sulla sicurezza nei nostri luoghi di lavoro, avere almeno un’idea di quanto succede sulla sponda-Italia (non Cina), uno spunto di riflessione ulteriore, qualche dato per esaminare il fenomeno indigeno alla luce del sole, pur nel rispetto dei limiti imposti dall’inchiesta giudiziaria in corso. Ci è stato chiesto di mandare domande scritte e lo abbiamo fatto, ma non abbiamo avuto risposta. E’ un peccato. Avevamo scritto in italiano, non in cinese.