Il dolore è prossimo. E la morte ci riguarda

I giovani deceduti mentre lavoravano, i numeri di chi non c’è più a causa dei mesi di pandemia

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 9 maggio 2021 - Nel primo trimestre del 2021 ci sono state 185 morti sul lavoro, l’11,4 per cento in più rispetto al 2020. Nel 2020 sono state 1.270, 181 in più rispetto al 2019 (+16 per cento). La giovane Luana D’Orazio, 22 anni, madre di un bimbo di 5, morta a Montemurlo lavorando a un orditoio, ora è purtroppo una statistica. Le statistiche sono come le stelle, sono tante, milioni di milioni. Eccone un’altra: secondo l’Istat, il tasso di occupazione delle giovani tra i 15 e i 34 anni è del 33,5 per cento contro il 44,7 dei giovani nella stessa fascia d’età. Il tasso disoccupazione delle giovani tra i 15 e il 34 è del 24,7 per cento contro il 22 per cento dei giovani.

Milioni di milioni. Eccone un’altra ancora: secondo un’indagine Istat del 2020, le donne che lavorano a tempo determinato sono, nella media dei primi tre trimestri del 2019, il 17,3 per cento e quelle a part time sono ormai un terzo, il 32,8 per cento contro l’8,7 per cento degli uomini. Il part time «non è cresciuto come strumento di conciliazione dei tempi di vita, ma nella sua componente involontaria» che ha superato il 60 per cento del totale contro il 34,9 dello stesso periodo del 2007. Morale: se sei giovane e donna, vivi un mondo sperequato. Poi però sono tutti molto contriti, specie i politici, quando muori e per l’Istat diventi una statistica, ma per il bambino che chiede di te sei la madre che non vedrà più. Sono tutti molto dispiaciuti, costernati, twittano dolore da tutti i pori. Si accorgono persino che più passa il tempo, più ci sono persone che muoiono sul lavoro. Tutti scrivono mai più, inventano hashtag creativi per dire che no, assolutamente no, non ricapiterà. Invece ricapita. Sono quasi due morti sul lavoro al giorno. È un anno che conviviamo quotidianamente a causa dell’emergenza sanitaria con i bollettini dei malati, dei decessi, numeri che si affastellano nel tardo pomeriggio. Dovremmo aver imparato a pesarli. Dietro quei numeri ci sono nomi, dietro nomi delle storie, delle famiglie, delle vite. Dopo un anno così, immersi nella malattia e nella morte, forse possiamo comprendere la tragicità di una apparente fredda statistica. Abbiamo imparato, in quest’anno, forse, che la morte ci riguarda. Anche quella che ci sembra lontana. La vita di Luana D’Orazio non dirà niente a chi non la conosceva. Ma se è la prossimità quella che ci anima, che ci scuote, allora quest’anno ci ha fatto capire quanto sia prossimo il dolore, di fronte al quale si può anche distogliere lo sguardo per incapacità di comprenderlo e accettarlo. Potrebbe venire voglia di farlo anche di fronte a una ragazza di 22 anni morta lavorando. Magari proprio fra quei politici che si dolgono pronunciando promesse già fallaci, dunque irrealizzate. Ma come si fa a non riconoscersi - l’appartenenza è avere l’altro dentro di sé, diceva Gaber - in chi cerca la propria libertà nell’autodeterminazione?

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