Il fragore del silenzio

Il commento di Luigi Caroppo

17 novembre 2018 - Tragedie silenziose. Troppo silenziose. Come quando fischia solo il vento nella valle in cui è adagiato un paesino a pochi passi da Aosta. E si aspetta la prima neve a dare ancora più forza a quel silenzio d’incanto.

Come il potassio, un killer bianco, che ferma il cuore e cancella vite, lasciando traccia di sé solo nel sangue. Fa paura il silenzio assordante che si annida nelle anime spezzate e cova un’angoscia, un malessere che cresce fino a esplodere. In dramma. Fa paura ma non deve lasciarci spettatori di un dolore lancinante che si ripete ormai troppo spesso in quella normalità apparente alla quale dobbiamo imparare a non credere. E a non cedere. Col senno del poi ci si interroga, si cerca una risposta, un motivo che sappia in qualche modo rassicurarci. Per tornare a compiere i gesti abituali, quelli di tutti i giorni, così per esorcizzare le paure.

Ci si muove tra la «tragedia annunciata» quando si era capito ma non si era fatto o fatto poco e la «tragedia inspiegabile» che del buio della mente fa un insondabile mondo a parte. Ma tra questi estremi, fin troppo luoghi comuni degli spettatori di vite altrui, ci può essere un battito o un urlo, una parola in un messaggino o un diario fitto fitto, uno sguardo fugace o il soffitto da fissare che possono «parlare».

Perché il malessere esistenziale, anche quando non esplode in depressioni conclamate o in malattie mentali evidenti, qualche segnale, anche piccolo, lo lancia. Sempre. A tutti, a ciascuno, a ognuno per la propria parte, l’obbligo morale di riuscire a coglierlo e a interpretarlo senza lasciare che cada nel vuoto. Sconfini in abissi troppo profondi da cui non c’è ritorno. E le tragedie che si compiono senza un motivo - solo all’apparenza - in mezzo a una quieta distrazione collettiva dell’impegno quotidiano, sono il rovescio della medaglia delle morti annunciate, quei drammi che arrivano al culmine di vite sconquassate dai disordini esistenziali noti a tutti, forse denunciati, anche curati ma che non si è stati capaci di fermare un attimo prima di quel troppo tardi definitivo della morte. Non restiamo in bilico tra questi due estremi di brandelli, ma ancora, di vita.