Contemporanei per forza

Il commento

Firenze, 13 settembre 2017 - QUALCUNO si ostina a voler fare di Firenze una città aperta al contemporaneo. Una bella impresa a cui molti si son dedicati dal dopoguerra in qua. E’ una bella scommessa che, è comprensibile, affascina giovani amministratori e giovani critici d’arte. Così, da qualche tempo, ci si adopera in tutti modi per meravigliare, sorprendere, spiazzare il cittadino e il turista (venuto invece per godere della città rinascimentale), prospettando le opere (o meglio le “installazioni”) negli spazi urbani più prestigiosi. Un tentativo di dialogo fra antico e nuovo: tema che ha affascinato intere generazioni e che oggi, ritualmente, si ripete. Tanto più che l’attuale edizione della Biennale dell’Antiquariato sembra estendersi fino al 1989. E’ un atteggiamento che deve far riflettere perché ci sposta, impercettibilmente verso il superamento della specializzazione verso una non meglio definita tuttologia. Non è un caso che i direttori dei musei vogliono occuparsi di moda, di danza, di concerti e quant’altro.

CI ASPETTIAMO che la direzione dei conservatori di musica organizzino corsi su Cimabue e Botticelli e che alla Pergola si facciano corsi di alta sartoria... Va tutto bene, ben venga l’apertura isotropa delle arti e della cultura, ma allora ridefiniamo le regole del gioco: chiariamo “chi fa che cosa”! Nessuna obiezione alle sperimentazioni di Urs Fischer, ispirate a “Hitler inginocchiato” e al “Dito medio” di Cattelan in piazza Affari a Milano, ma siamo certi che si debba dare i nostri prestigiosi spazi a riproduttori di megaviti, megachiodi, megafrutta e megaverdura? Nè si obietti, per favore, che l’Artista è stato già ospitato a Palazzo Grassi e a Beverly Hills. La pregressa esperienza (ed accoglienza) data a Jeff Koons, con l’arengario di Palazzo Vecchio, non fu molto felice e avrebbe dovuto far riflettere.

NÈ HANNO aiutato a capire la contemporaneità gli sciagurati canotti rossi che hanno sfregiato per mesi uno dei più importanti palazzi ribascimentali della città. Qui si tratta, ancora una volta, di valutare una non episodica linea di politica culturale per l’arte contemporanea, per la quale si impegnano risorse pubbliche non indifferenti. Non è il caso di aprire un “tavolo” comune di approfondimento? E la Biennale dell’Antiquariato, vista la sua estensione temporale non potrebbe farsi carico di un’apertura a questo dibattito ?