Se la soluzione è cambiare il problema

La burocrazia grottesca. Il commento del capocronista della cronaca di Firenze

Stefano Cecchi

Stefano Cecchi

Firenze, 26 giugno 2020 - Raccontava Gino Patroni che «duemila anni fa Timbri e Teutoni invasero l’Italia, Mario fermò i Teutoni ma gli sfuggirono i Timbri che arrivano a Roma e da lì si diffusero in tutta Italia». A restare distaccati, sulla burocrazia italiana e sulle storie grottesche che genera, verrebbe quasi da ridere. Invece, quando poi accadono cose come quella che leggete qui a fianco, da sorridere viene ben poco. Passano gli anni, cambiano i protagonisti, con grande difficoltà si prova ad andare oltre una pandemia, ma il virus della burocratizzazione non scompare. Un muro di gomma contro il quale si infrangono propositi migliori di ripartenza e speranze di un Paese che mai come adesso avrebbe bisogno di facilità d’impresa. Per carità, a sentire i politici sembrerebbe che ognuno di loro abbia a cuore come prima cosa la sconfitta di questo mostro tentacolare che tutto avvolge. Lo ha cosi a cuore da portare in Parlamento un decreto dedicato appunto alla “semplificazione“. Invece le cose anche in questi giorni si complicano senza trovare nessuno che fornisca un antidoto concreto. Magari sbaglierò, ma io ho come l’idea che alla fine nessuno provi a correggere le cose perché nessuno dentro gli enti pubblici si sente davvero responsabile di qualcosa. Siccome si lavora in un posto che non ha un padrone riconosciuto in carne ed ossa, il burocrate è legittimato a pensare che a rispondere debba essere sempre qualcun altro. E, al riparo di norme e regolamenti che soltanto lui conosce alla perfezione, finisce per rispondere soltanto a se stesso. In barba al buonsenso e alla voglia di ripartenza di un Paese ingabbiato. Dando così ragione a Arthur Block, che già 40 anni fa codificando le leggi di Murphy, aveva intuito che se uno ha un problema che deve essere risolto dalla burocrazia, gli conviene cambiare problema.