Quirinale, Berlusconi molla e dice no a Draghi. Il centrodestra: pronti altri nomi

Tensione e colpi di scena, alla fine il Cavaliere viene convinto a rinunciare: "Però avevo i numeri"

Silvio Berlusconi, classe 1936, è il leader di Forza Italia

Silvio Berlusconi, classe 1936, è il leader di Forza Italia

Per la discesa in campo ha usato un video messaggio. Venticinque anni dopo, il Cavaliere annuncia il rientro negli spogliatoi per la partita del Colle con una lettera che la fedelissima Licia Ronzulli legge agli alleati nel vertice del centrodestra che si svolge su Zoom. Il protagonista non c’è: un’assenza che alimenta voci sul suo stato di salute, smentite dalle fonti ufficiali. Ma aumenta anche il pathos di un’uscita di scena in pieno stile berlusconiano. Una scelta sofferta, racconta nella nota, fatta malgrado "l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione", un sacrificio in nome del "paese che amo", e dell’esigenza di dare una mano nell’interesse generale "per combattere la gravissima emergenza sanitaria". Di qui la rinuncia al sogno a lungo coltivato: "Ho deciso di compiere un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare a indicare il mio nome per la presidenza della Repubblica".

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L’intera coreografia sembra studiata con cura. Berlusconi tiene gli alleati in sospeso fino all’ultimo: alla riunione da remoto con ministri e sottosegretari forzisti fa solo una rapida comparsa, visibile ai più lesti a collegarsi. "Non ho ancora deciso, ci vediamo domani alla riunione dei Grandi elettori". Poi passa la palla a Tajani che si incarica di sottolineare che Draghi deve restare al governo ("inamovibile", lo definisce), senza rimpasti. I ministri azzurri evitano di pronunciarsi in materia.

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Una decisione ufficiale non arriva, il vertice del centrodestra online (un inedito per una riunione importante) slitta dalle 16 alle18, poi un’altra ora. Alla fine il computer di Berlusconi si accende, ma alla tastiera non c’è lui, bensì l’immancabile Tajani con Licia Ronzulli che legge l’ufficializzazione della rinuncia.

Contrariamente alle attese di molti, il Cavaliere non indica candidature alternative: annuncia solo che d’ora in poi lavorerà con gli altri leader per "concordare un nome in grado di raccogliere un vasto consenso nel Parlamento. Fa un solo nome: quello del premier, e lo fa per affossarlo. "Considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura". Un colpo micidiale, che rivela tutta l’ostilità del leader forzista nei confronti di chi, in veste di presidente della Bce, aveva determinato la caduta del suo ultimo governo. L’obiettivo è dunque recitare un doppio de profundis. Per la propria candidatura e anche per l’unica altra ipotesi messa in campo in queste settimane: quella del premier. Ma, sottolinea un alleato centrista, "con Silvio mai dire mai". Anche perché la situazione è fluida.

Subito dopo il vertice di grandi e piccoli leader del centrodestra finisce quasi in rissa, tanto che un comunicato finale non è possibile diramarlo. Giorgia Meloni è inviperita soprattutto per il passaggio sulla prosecuzione della legislatura: mira all’obiettivo opposto e non ha alcuna intenzione di arrendersi. A irritarla sono anche le indiscrezioni che a summit in corso proclamano il suo no fermo all’opzione Draghi. "Durante la riunione non sono state formulate da alcuno specifiche proposte di candidatura né tanto meno sono stati posti veti di alcun genere". E ribadisce l’intenzione di andare a elezioni subito.

Per il momento, la rosa della coalizione ha molti petali: Moratti, Pera, Casellati, qualcuno si spende per Tremonti, altri per Nordio. In questo quadro, sembra prendere quota la candidatura di Pier Ferdinando Casini nome sul quale Renzi si starebbe spendendo moltissimo, ma nel centrodestra è considerato "del centrosinistra". A candidarlo, caso mai, dovranno essere Letta o lo stesso Renzi. Ipotesi entrambi poco praticabili. Oggi Salvini incontrerà Letta, ma in queste condizioni senza che nessuno dei due schieramenti abbia osato mettere in campo una vera candidatura è difficile che serva a qualcosa La destra come la contraparte è divisa: Berlusconi non è più in campo, ma c’è il rischio che con la sua candidatura sparisca anche l’unità della coalizione.