La Caporetto amaranto

Non era solo questione di tecnico. Qui è tutto sbagliato e da rifare

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di Salvatore Mannino

Tu quoque Buglio fili mi. Di fronte alla raffica di coltellate dalle quali viene trafitto un Arezzo mai così derelitto (altro che cambio in panca), viene da pensare alla morte di Cesare e al colpo vibrato dal prediletto Bruto, nel caso di specie l’ex. La differenza è che lì i fendenti furono alcune decine, qui "solo" cinque, che per il calcio bastano a definire una Caporetto, una disfatta, un disastro. L’esercito amaranto si squaglia come quello italiano di fronte all’offensiva austriaca, solo che stavolta dalla parte del Padova non c’è il Ronaldo vero (che notoriamente è portoghese) ma un altro Ronaldo, brasiliano e molto meno noto. Basta lui però ad ammazzare il Cavallino.

Semplicemente, come sempre, anzi peggio di sempre, l’Arezzo non è esistito. Prova ne sia che dopo un quarto d’ora la partita era già morta e sotterrata, con due gol che avevano trafitto gli amaranto nel loro lato più debole (ma ne esiste uno forte?), ovvero una difesa inguardabile. Con Camplone che allargava le braccia sconsolato. Come a dire: ma dove sono capitato? E se continua così, si domanderà: ma chi me l’ha fatto fare?

Eh sì, perchè questa rotta, questa resa senza condizioni, scopre le vergogne e anche le illusioni: no, non era solo colpa di Potenza, che se ne è andato, insalutato ospite. Magari fosse stata tutta colpa di un allenatore incapace che non sapeva far girare la squadra. No, qui è molto peggio, qui è tutto sbagliato e tutto da rifare, alla Bartali. Non è questione di difesa, non almeno solo di difesa, è questione di una gestione tecnica totalmente fuori quadro, di una campagna acquisti radicalmente sbagliata, di una squadra che in queste condizioni è destinata alla tristissima sorte di ultima della classe. Insomma, l’avete capito: quest’Arezzo va raso al suolo e ricostruito da zero.

Vaste programme, direbbe un grande come il generale De Gaulle. Ed è il teorema che adesso Camplone (tecnico che almeno ha una carriera alle spalle) si trova a dover risolvere. Rianimando i giocatori attuali, che sembrano una banda di fantasmi nel giorno dei Morti, o andando a cercarne altri fra gli svincolati, ammesso che i vizi di questa squadra possano essere emendati da qualche rinforzo. Il mercato di gennaio è lontano, troppo lontano, per allora il Cavallino potrebbe già aver ammainato la bandiera di una categoria che pareva il minimo, ma che adesso va difesa come un patrimonio.

La proprietà romana credeva forse di cavarsela bocciando in toto il settore tecnico cui si era affidata all’inizio: via Potenza, via il Ds Di Bari, via lo staff. Come se una cacciata generale potesse essere un lavacro in cui ripulire gli errori. No, gli errori sono lì e tornano partita dopo partita come lo spettro di Banco. L’esempio vivente è il povero Cerci, ingaggiato non per il suo passato e nemmeno per le sue virtù, ma come uomo immagine. Ecco i romani hanno pensato che fosse tutta questione d’immagine, di affari per i quali Arezzo poteva essere un facile retroterra. Ahiloro, di questi passi li inseguiranno con i forconi.

Della partita c’è ben poco da dire. Gli sbagli sono sempre i soliti, specie là dietro che pare la banda del buco, di nuovo c’è la totale incapacità di reagire di tutta la squadra, una fragilità che è come quella del coccio (il cristalo sarebbe materiale troppo pregiato). Povero Camplone: in che impresa si è messo.