"Società decotta, socio di maggioranza assente": fallimento, poi la rinascita

Oltre due milioni di debito e oltre uno di buco: ma concesso l'esercizio provvisorio "a condizione vengano pagati gli stipendi". Porta in faccia all'avvocato Neos

Fallimento Arezzo

Fallimento Arezzo

Arezzo, 16 marzo 2018 - L’Arezzo fallisce, per la terza volta in 25 anni, alle 13,29 di un giovedì di tempo incerto. E’ l’ora in cui il presidente del collegio fallimentare Carlo Breggia e il giudice relatore Antonio Picardi escono dalla stanza in cui è stato scritto il verdetto e depositano in cancelleria la sentenza di insolvenza, con esercizio provvisorio subordinato al pagamento degli stipendi nella scadenza fissata dalla Lega per oggi. I protagonisti, però, giurano che non ci saranno problemi e anche i magistrati si spingono a mettere nero su bianco «un giudizio prognostico favorevole circa l’esito dell’operazione».

Non c’è voluto molto per dichiarare fallita la società amaranto. Meno di un quarto d’ora da quando a Breggia e Picardi si è unita la terza giudice del collegio, Michela Grillo. Il testo è opera dello stesso Picardi e in poche cifre tratteggia il quadro del crac: nell’ultimo bilancio, si nota, emergono un attivo di un milione 54 mila e 338 euro, ricavi per 396.143 e debiti per due milioni 141 mila e 747. Uno sprofondo.

Infatti, al 31 dicembre non solo si registra l’erosione integrale del patrimonio netto ma anche un valore negativo (un buco insomma) di un milione 105mila e 648 euro. Quanto basta perchè in sentenza si parli, facendo riferimento a quanto messo per iscritto dal socio di minoranza Orgoglio Amaranto, di «dichiarazioni chiaramente indicative dello stato di decozione della società».

Del resto, chiosano i giudici, è «notorio lo stato di agitazione proclamato dai giocatori a causa del mancato pagamento degli stipendi, con conseguenti ripetuti rinvii per salvaguardare la regolarità del campionato ancora in corso». Inevitabile la stoccata alla proprietà latitante (Neos e acquirenti fantasma): «Deve essere altresì segnalato il sostanziale disinteresse mostrato dal socio di maggioranza, mancando qualsiasi evidenza di un presunto passaggio di proprietà». Come a dire, tutta fuffa.

Un giudizio dal quale si salva solo Orgoglio Amaranto, «lodevolmente impegnato in un’attività di ricerca di finanziatori esterni», mentre «in tale sconfortante scenario, nessun dubbio sussiste circa lo stato di dissesto dell’Us Arezzo». Resta la questione dell’esercizio provvisorio, per la quale c’è una giurisprudenza secondo cui «deve essere necessariamente disposto a tutela del patrimonio aziendale che include la conservazione del titolo sportivo e il valore dei giocatori che sarebbero immediatamente svincolati a seguito del fallimento senza prosecuzione di impresa».

Il riferimento in tal senso sono le sentenze dei tribunali di Verona e Arezzo (2011, insolvenza precedente) e quella recentissima del tribunale di Vicenza, che ha fatto da faro nel caso della società amaranto. Ovviamente, il tutto non deve tradursi in un danno ai creditori, ecco perchè diventa condizione indispensabile il pagamento degli stipendi di oggi. La giornata era cominciata di buon mattino, nel palazzo di giustizia affollato all’esterno di tifosi, con l’udienza prefallimentare dinanzi al giudice Picardi. Lì gli avvocati avevano illustrato le quattro istanze di fallimento, lì era stata presentata la richiesta di esercizio provvisorio di Orgoglio Amaranto, con rendiconti bancari per 270 mila euro.

Escluso, invece, l’avvocato Antonio Giambrone, che si era presentato come legale della proprietà ma senza mandato: «Sono stato contattato nella notte - racconta - e non c’è stato tempo di formalizzare. Pensavo che il giudice aspettasse, questione di cortesia. Invece c’era un pessimo clima, i tifosi mi hanno inseguito, la polizia ha dovuto scortarmi fino alla macchina». E tuttavia anche questa chiamata all’ultimo tuffo dà l’idea di quanto fossero improvvisate le mosse di Neos & C. Nessuno li rimpiangerà ora che è tutto finito.