Sarri, favola senza lieto fine: in dieci giorni dallo scudetto all'esonero

Dalla vittoria in frenata alla cacciata dopo la Champions. Ma l’allenatore cresciuto sui campetti aretini era l’uomo giusto al posto giusto?

Sarri

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Arezzo, 9 agosto 2020 - Finisce così anche nelle favole. Quella di Cenerentola, ad esempio, dove allo scoccare della mezzanotte la bella fanciulla torna povera, la carrozza zucca e i cavalli topolini. La mezzanotte di Maurizio Sarri, l’Uomo di Vaggio (nel senso del paese del Valdarno aretino in cui ha la residenza), l’allenatore della provincia profonda (a significare una carriera cominciata trent’anni fa dalla gavetta della seconda categoria con lo Stia) si chiama Lione.

Lui non ce la fa ad andare avanti in Champions, quella coppa dalle grandi orecchie che alla Juve è diventata una vera e proprioa ossessione, e Madama gli dà il benservito in dodici ore, senza neppure il preavviso, come si faceva una volta con i servitori infedeli, colti a frugare nell’argenteria di famiglia. Ecco dunque che la parabola ascendente di uno salito gradino dopo gradino, passo dopo passo, dai campi di calore, sudore e polvere del calcio minore fino al paradiso della Signora degli scudetti, passando per il purgatorio di una carriera errabonda, si tramuta d’improvviso nel suo contrario: una curva che scende precipitosamente, come uno scivolo.

Non era difficile immaginarlo dopo il Lione e persino prima. Troppo evidenti i segnali di un amore mai nato fra la Nobildonna del calcio italiano e il tecnico venuto dalla gavetta. Troppo chiare le parole con cui il principino Andrea Agnelli aveva liquidato la questione Sarri dopo l’eliminazione.

Non si sono mai capiti il buon Maurizio e la Signora, come in quei matrimoni male assortiti fra il plebeo e la Madama con quattro quarti di nobiltà, resa ancora più schizzinosa dai nove titoli tricolori di fila. Resta un figlio in comune, il nono scudetto appunto, di cui Sarri è il legittimo padre. Fu vera gloria, viene da domandarsi come col Napoleone manzoniano. Di certo, è durata da poco.

Da Natale a Santo Stefano, si dice da queste parti, dal 26 luglio della matematica del titolo (il primo di un «aretino» e anche il primo dell’Uomo di Vaggio, che è pure il più anziano di sempre ad essere arrivato al traguardo) al 7 agosto dell’inutile vittoria coi francesi che però passano il turno e lasciano la Juve fuori dalla Finale Eights di Lisbona, patria di Ronaldo che proprio per questo ci teneva in maniera particolare e che di certo non è estraneo al fulmineo esonero del suo allenatore.

Resta la favola, resta una storia come mai se ne erano viste nel pallone nazionale. Un tecnico che parte dal fondo del fondo (ci scusino a Stia, ma il succo è questo) e arriva fino al top del top. C’è da domandarsi però se il finale di questa fiaba non fosse già scritto nell’inizio.

Detto in altre parole, Sarri era l’uomo giusto al posto giusto, era l’allenatore giusto per portare a Torino la Champions e anche il bel gioco la cui mancanza era stata fatale al «risultatista» Allegri? Può un tecnico la cui scienza è tutta scritta nel quadernino degli schemi di cui si favoleggiava già quando sedeva sulla panchina dell’Arezzo, in difficile alternanza col cannibale Antonio Conte, essere quello che sa gestire mostri sacri come Cr7, Dybala e gli altri assi della Juve, gente che va per conto suo, baciata dalla grazia della classe e che poco vuol saperne di essere inquadrata ine formule?

Forse ci aveva visto bene uno che ha fiuto come Berlusconi, che Sarri, dopo averlo tentato come un demone, non lo volle al Milan quando già si era messo in evidenza con l’Empoli: troppo «comunista», disse il Cavaliere, ma magari voleva dire che dava troppo spazio agli schemi rispetto ai campioni, che in una Grande è sempre una colpa, ne sa qualcosa persino Righetto Sacchi.

Agnelli e Paratici ci hanno voluto provare lo stesso, Maurizio non poteva dire no, anche a costo di tradire il suo passato. Il risultato è niente bel gioco, niente Champions e uno scudetto giunto in frenata. La favola è finita. Cenerentola è tornata in cenci. Ma ci sarà un’altra occasione, c’è sempre un’altra occasione. Lieto fine cercasi.