Pd, no ai 5 Stelle e tutti d'accordo sull'opposizione: oggi la direzione-verità

Sinistra i "colonnelli" all'attacco ma Ceccarelli non affonda: e anche la posizione del segretario Ricci sembra blindata. Le posizioni all'assemblea

L'insediamento di Albano Ricci

L'insediamento di Albano Ricci

Arezzo, 12 marzo 2018 - Sono disorientati, umiliati, sconfitti. Ma non hanno ancora perso la voglia di esserci, di partecipare, di dire la loro sul futuro di quello che fu il partito cardine del sistema politico locale e che le elezioni hanno spinto inesorabilmente ai margini. Eccolo allora il «popolo del Pd», o quanto ne resta dopo la Caporetto del 4 marzo, che riempie il salone delle conferenze di piazza Sant’Agostino, una sede in cui il sapore della disfatta suona ancora come una novità sgradevole, e trasforma un venerdì sera in un lungo sfogatoio sui motivi della debacle e su come uscirne.

Erano quasi in duecento quelli che hanno partecipato all’assemblea degli iscritti convocata dal segretario provinciale Albano Ricci, primo appuntamento post-elettorale in attesa della direzione provinciale in programma per domani sera, che però, se le previsioni della vigilia saranno rispettate, non dovrebbe trasformarsi in una notte dei lunghi coltelli in cui scorre il sangue della classe dirigente locale che ha guidato il Pd alla peggiore sconfitta della propria storia recente.

Dinanzi ad Andrea Romano, lui sì eletto deputato a Livorno e direttore di «Democratica», l’organo in line del partito, dalla base sale la voce dell’orgoglio: «Mai un accordo con i 5 Stelle e tantomeno con la Lega», dicono la trentina di militanti intervenuti (sarebbero stati ancora di più se a notte fonda il sonno non avesse convinto a interrompere il dibattito): ci hanno offeso per tutta la campagna elettorale, ci hanno dato dei corrotti e dei mafiosi e ora che hanno bisogno dei nostri voti vorrebbero poter contare su di noi?

Mai con i 5 stelle, ripetono, secondo quanto raccontano l’ormai ex deputato Marco Donati e il segretario cittadino Alessandro Caneschi, gli elettori che i due sono andati a cercarsi ieri mattina, con un banchino allestito nell’area del mercato del sabato: hanno vinto loro, dimostrino che sono capaci di governare senza i nostri voti. Dall'assemblea di Sant’Agostino, invece, trapela il forte malumore della base per come è stata gestita la questione candidature a livello nazionale: a Roma, è il coro, hanno cancellato il 50 per cento dei nomi approvati ad Arezzo e il solo che si è salvato, Donati, ha avuto sì il collegio uninominale ma non il paracadute del listino proporzionale.

Col risultato che per la prima volta Arezzo si ritrova senza propri eletti in parlamento. Dal clima di rabbia diffusa sembra salvarsi per ora Albano Ricci, che guida sì il Pd nel giorno della disfatta ma, dicono gli iscritti, senza particolari colpe: che poteva fare di più in pochi mesi? Va all’assalto anche qualche big della sinistra interna come DonellaMattesini, senatrice uscente e non ricandidata, che critica con forza la linea politica renziana. Tace invece il vero nume tutelare degli orlandiani, l’assessore regionale Vincenzo Ceccarelli.

Lui la sua l’ha detta nelle dichiarazioni a La Nazione e ad altri organi d’informazione: scelte di governo magari giuste ma calate dall’alto, un Pd locale che si è appiattito sul proprio candidato senza riuscire a esprimere una propria posizione come partito. Tuttavia Ceccarelli, al contrario di qualche colonnello della sinistra, come Massimiliano Dindalini e Francesco Ruscelli, non mette in discussione Ricci: «Non gli si possono imputare colpe particolari».

Le dimissioni locali, come quella di Ruscelli e di tutta la segreteria di Cavriglia, dovrebbero dunque restare un fatto episodico, che non diventano la scintilla per una resa dei conti stasera. A Roma (ma in direzione nazionale non ci sono più aretini) sarà battaglia, qui la testa di Ricci non pare in discussione.