La notte nera del Pd e di Donati: in cinque anni dalla marcia trionfale alla crisi

Doccia fredda su una classe dirigente che aveva portato il renzismo ai massimi livelli: il segnale d'allarme delle comunali

Marco Donati

Marco Donati

Arezzo, 6 marzo 2018 - Cento minuti di solitudine. Quelli dall’una di notte fino alle due e mezzo in cui si consuma il crollo del Pd, con lo stato maggiore dell’ex partito-padrone del sistema politico aretino che cominciano a intuire le misure della sconfitta più bruciante di sempre, almeno da queste parti. Il clima di tregenda è così palpabile che lo si respira, quasi fisicamente, nei due ridotti in cui i dirigenti si sono rifugiati per questa lunga maratona elettorale.

Da un lato la sede di piazza Sant’Agostino, dall’altro il punto elettorale del deputato uscente (e sconfitto) Marco Donati, in piazza Risorgimento, stesso centro ma a un paio di centinaia di metri di distanza. A presidiare le stanze semideserte della direzione è rimasto quasi da solo il segretario provinciale Albano Ricci, renziano di ferro, in carica da poco più di un mese ma che già si sente mancare la terra sotto i piedi. Con lui un paio di collaboratori che raccolgono sui computer dati sempre più sconfortanti.

Dei big democrat nemmeno l’ombra, solo Luciano Ralli, un altro segretario mancato, renziano eterodosso. All’una e mezzo di notte è già chiaro che la parte aretina del collegio del Senato è andata e che la salvezza può venire (come poi verrà) solo dal Senese. Pessimo presagio per l’uninominale della Camera, dove è in lizza l’unico aretino doc di questa tornata, Donati appunto.

Ricci, cortonese, constata con particolare disagio i risultati dei seggi nella sua città, col centrodestra (e la Lega) che fanno scopa. La differenza fra quest’atmosfera di mestizia, da caduta annunciata, e l’aria trionfale dei tempi delle primarie di Renzi trionfante o delle Europee è abissale. Allora Sant’Agostino pullulava della folla di chi voleva partecipare alla vittoria, dirigenti e militanti, stavolta solo mugugni e silenzio. E’ un po’ la parabola che sta vivendo anche Marco Donati nel suo comitato elettorale. Lui in fondo del renzismo aretino e dei suoi fasti è stato una specie di Giovanni Battista.

Il primo a impugnare la fiaccola quando Renzi era solo un sindaco, il regista dei voto a valanga nelle due sfide per la segreteria del partito che fecero di Arezzo un fenomeno nazionale, il giovane assessore che sbaragliò l’allora segretario Marco Meacci nelle primarie per il parlamento del 2013, col posto alla Camera garantito. Il punto più alto della curva, insieme alle Europee, poi la discesa, sempre più veloce e ripida.

La dura (e assolutamente imprevista) battuta d’arresto nelle Comunali del 2015, quando il candidato a sindaco travolto da Ghinelli era l’altro dioscuro renziano, Matteo Bracciali (c’è anche lui a far coraggio all’amico e pare quasi il segno di un destino), le ripetute disfatte alle amministrative, il Referendum costituzionale (ma almeno qui i renziani diedero l’ultima zampata, con la vittoria dei sì in provincia, quasi unica in Italia), una campagna elettorale tutta in salita e senza il paracadute dell’elezione sicura al proporzionale.

Alle tre di notte, la vittoria dell’altro, di Maurizio D’Ettore, è quasi metabolizzata, anche se è dura mandarla giù. Ma Donati vuol cadere con stile. All’alba il videomessaggio su Facebook: continuerò anche da sconfitto, la politica è anche servizio.Ma per tutti è la fine di un’epoca. Durata appena cinque anni.