Bagarre Pd, l'ex segretario Dindalini lancia segnale a Ricci: io mi dimisi per molto meno

Il presidente di Tiemme all'attacco: Donati ha fatto campagna elettorale per conto suo, senza partito. Accordicchi senza risultati

Dindalini

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Arezzo, 7 marzo 2018 - «IO NON CHIEDO la testa del segretario Albano Ricci, mi limito a far rilevare che ho messo a disposizione la mia per molto meno». Massimiliano Dindalini, presidente di Tiemme, predecessore di Ricci sulla massima poltrona del Pd aretino, si toglie i sassolini dalla scarpe. Almeno qualcuno di quelli che gli erano rimasti quando i renziani gli diedero con l’ultimo congresso in autunno l’intimazione di sfratto. E non è solo la rabbia di un ex, perchè Dindalini resta uno dei punti di riferimento di Dems, la corrente di sinistra che fa capo al ministro Orlando.

Come a dire che è il siluro di uno che conta ancora negli equilibri malcerti del partito uscito con le ossa rotta dalle elezioni, anche ad Arezzo dove ha lasciato sul terreno niente di meno che un deputato uscente, Marco Donati, il vero faro del renzismo locale. Quando parla di testa offerta sull’altare di una sconfitta, Dindalini fa riferimento ovviamente a un altro giugno terribile, quello del giugno 2016, quando il Pd perse tutti insieme i Comuni di Montevarchi, Sansepolcro e Anghiari. Lui allora mise a disposizione il mandato, anche se poi riuscì a salvare la segreteria, contestato soprattutto dai renziani, che gli rimproveravano anche le sconfitte precedenti a Castiglion Fiorentino, Bibbiena e soprattutto Arezzo.

Il messaggio ad Albano Ricci è fin troppo chiaro: serve un segnale forte, se non le dimissioni secche almeno una verifica robusta. «Si stano dimettendo tanti segretari in giro per l’Italia».

DEL RESTO, Dindalini di contestazioni su come il Pd aretina di marca renziana ha gestito la campagna elettorale ne ha eccome. «Abbiamo nascosto la polvere sotto il tappeto, senza un vero esame di coscienza su come abbiamo perso Palazzo Cavallo nel 2015. Io allora chiesi un congresso vero, fu risolto tutto con la sostituzione del segretario comunale. Come se le colpe fossero lì. Gli effetti si vedono adesso. In città fra Donati e D’Ettore ci sono 5 mila voti di differenza, un margine che si è ampliato rispetto al ballottaggio Ghinelli-Bracciali».

E poi, insiste ancora l’ex segretario, «sul caso di Banca Etruria abbiamo fatto come se non esistesse. Io invece ho l’impressione che Etruria stia a questo risultato come la neve al grano. Ha cambiato il mood del paese, ha interrotto la luna di miele fra Renzi e gli italiani. Intendiamoci: il Pd non ha responsabilità sul crac della banca, non c’entriamo niente. Ma dovevamo difenderci mentre gli altri lo gridavano a tutta voce, non lasciare che passasse questo messaggio anche fra gli aretini».

DINDALINI, come tutta la sinistra Pd, attacca Ricci per «aver fatto il segretario di Donati più ancora che il segretario del partito». E ne ha anche per il deputato sconfitto: «Pensava di fare da sè, quasi come se non ci fosse un Pd e lui fosse un indipendente. Ha fatto una serie di accordicchi in giro per la provincia, anche con gente che non appartiene al partito, i democratici per cambiare a Sansepolcro, Gianni Bennati, già candidato a sindaco civico a Monte San Savino, l’entourage del sindaco Bernardini a Bibbiena. Il risultato eccolo qua». L’ultima bomba il presidente di Tiemme la tiene in fondo: «Anche a Palazzo Cavallo si è scelto per due anni di non fare opposizione o di farne il meno possibile. Forse si sperava di lucrare qualche consenso in vista delle politiche. Ma non c’era il voto disgiunto e le schede di centrodestra sono rimaste al centrodestra».