Oro, inaugurata Gold Italy: la Fiera alla sfida dei mercati, il quadro

Export, resta aperta la falla di Dubai ma Hong Kong e Turchia resistono. Persi 40 milioni negli Emirati, altri dieci negli Usa. Vola la Francia

Il taglio del nastro a Gold Italy

Il taglio del nastro a Gold Italy

Arezzo, 20 ottobre 2018 - Qual è la situazione di mercato nella quale l’oro aretino si presenta all’appuntamento, ormai classico in sei edizioni, con Gold Italy, la seconda mostra del Palaffari che si è aperta stamattina? Le grandi linee di tendenza gli addetti ai lavori e anche i lettori attenti le conoscono già. Il 2018 non è un anno brillante come il 2017 che lo ha preceduto. Il 5 per cento di crescita di allora è, giunti al traguardo di ottobre, una pia illusione. Sarà grasso che cola, se grazie a quanto può succedere nell’ultimo scorcio, si chiuderanno i conti dell’export con un leggero segno più o almeno senza perdere terreno.

Per ora, anzi, ci è riuscita soltanto Arezzo che alla fine del primo semestre è arrivata con un modesto ma significativo 0,2 di aumento: 943 miliardi di gioielli inviati all’estero contro i 942 precedenti. Gli altri, da Vicenza a Valenza, vanno tutti indietro. Per giungere tuttavia a un risultato del genere, di tenuta più che di crescita, gli orafi aretini hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie. Perchè Dubai, la porta dell’oriente che ha fatto in passato la fortuna delle imprese, continua nella sua discesa inarrestabile. Nel 2018 sono andati persi altri 40 milioni di export, da 291 a 252. E’ come avere una falla nella nave e dover compensare la stabilità della rotta da qualche altra parte.

Un piccolo contributo lo ha portato Hong Kong, l’altro hub dell’oro, stavolta in Estremo Oriente: Cina ma anche le Tigri Asiatiche e l’Australia, il secondo mercato di sbocco dell’oro nostrano. I milioni di esportazioni sono saliti da 142 a 145, ma con una polarizzazione estrema dei due trimestri: molto male il primo, in calo dell’8 per cento, molto bene il secondo, con una crescita del 12. Resta così un saldo attivo di tre milioni, cui va sommato il contributo della Turchia, terza terra promessa delle nostre imprese.

Anche qui però ci sono segnali di stanchezza, perchè lo squillante 17 per cento dei primi tre mesi vira in negativo (-3) nel trimestre successivo. Nel complesso comunque il quadro è ampiamente positivo: 89 milioni di gioielli assorbiti dalla repubblica autoritaria di Erdogan, 6 in più dell’anno precedente.

E gli Stati Uniti? Erano il quarto mercato degli orafi aretini e lo restano, ma l’emorragia del 2018 è imponente: meno 13 per cento nel primo trimestre, meno 15 nel secondo. In totale 10 milioni di export perso. E’ l’effetto Trump, il presidente protezionista, che non ha ancora messo i temuti dazi, arrivati ad esempio per l’acciaio, ma le cui politiche già riescono a condizionare l’import: America first, è lo slogan di The Donald e infatti l’oro aretino va in picchiata.

Compensano in parte i mercati paralleli di Santo Domingo, praticamente in pareggio, e di Panama che invece è in netta crescita: 6 milioni in più con un aumento del 22 per cento. In Europa il 2018 è stato l’anno della Francia, con le esportazioni di gioielli in crescita del 18 per cento, ma gli esperti frenano gli entusiasmi: sono soprattutto triangolazioni verso paesi terzi. La Spagna porta un milione in più, la Germania uno in meno. Spiccioli.

Più sostanzioso il Libano: quasi 5 milioni di export in più, a percentuali che sono arrivate fino al 40 di crescita. Ma che fatica per tenere il passo. Tutto sommato è un anno grigio, ci vorrà tempo per rivedere il mondo a colori.