Negozi, in dieci anni calati del 5,7%: boom bar e ristoranti. Chi sale e chi scende

Studio della Confcommercio sull'evoluzione del settore. Emorragia più in periferia che nel centro. Lapini: "Calo contenuto ma teniamo gli occhi aperti"

Negozi chiusi

Negozi chiusi

Arezzo, 28 marzo 2018 - In dieci anni perso il 5,7% delle imprese commerciali, soprattutto nelle aree fuori dal centro storico. Bar, ristoranti e strutture ricettive segnano invece un +21% grazie alla spinta del turismo e del “fuori casa”. Le perdite più importanti riguardano i negozi di moda, elettrodomestici e prodotti per la casa, crescono invece alimentari, farmacie, telefonia e commercio ambulante.

La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini: “diminuzione ancora contenuta, ma stiamo attenti per il futuro”. E richiama alla responsabilità anche i consumatori: “il consumo è un atto politico, la città si modella anche in base alle nostre scelte di shopping: on line, nei negozi tradizionali o nei grandi centri?” Altro dato della ricerca: il centro resta il più importante attrattore di investimenti economici, mentre le periferie rischiano di segnare il passo. Opportuno quindi, aprire una riflessione per governare l’evoluzione commerciale e urbanistica della città.  Meno commercio e più turismo. Ecco come è  cambiata negli ultimi dieci anni la rete distributiva ad Arezzo, che ha visto diminuire i negozi al dettaglio ed aumentare invece bar, ristoranti e strutture ricettive. Una tendenza che va incontro alle mutate abitudini di consumo degli aretini e, forse, anche all’esigenza di potenziare l’accoglienza turistica. 

Lo rivela l’Ufficio Studi della Confcommercio, che dopo aver presentato nel febbraio scorso i risultati nazionali dell’indagine condotta su un campione di 120 città medio-grandi e su un arco di tempo compreso fra il 2008 e il 2017, presenta ora a livello locale i dati specifici per Arezzo.  Dal 2008 al 2017 la città di Arezzo ha perso in totale 76 negozi di vicinato, dei quali 23 in centro storico e ben 53 nelle aree periferiche. Nel 2008 erano 1.329, ridotti a 1.253 a fine 2017 per una contrazione pari al 5,7%. Le perdite più alte si sono registrate nel settore casalinghi, elettrodomestici, moda, merceria, ferramenta e, in generale, tra gli esercizi non specializzati, ovvero le vecchie “botteghe” di quartiere dove si poteva trovare un po’ di tutto. Ma non tutto va male, per il commercio: nel comparto degli alimentari sono infatti nate 15 imprese in più, delle quali addirittura 12 in centro storico, in genere specializzate in prodotti di alta gastronomia ad uso e consumo non solo dei residenti, ma dei turisti in particolare. Non va male neppure per le farmacie, a dimostrazione di un rinnovato interesse per la salute e il benessere: in dieci anni sono cresciute di 13 unità, delle quali 5 in centro storico e 8 fuori. A crescere sono anche la telefonia e il commercio ambulante, quest’ultimo forse per l’apporto di molti stranieri in cerca di auto impiego. 

Va meglio per il comparto turistico, che conta 107 imprese in più rispetto a dieci anni fa (60 in centro e 47 fuori) fra bar, ristoranti, enoteche e simili, oltre alle strutture ricettive. Nel 2008 le attività del comparto erano 504, a fine 2017 sono diventate 611, con una crescita totale del +21,2%. In questo caso, ad incidere positivamente sono state le nuove opportunità offerte dal turismo e, in particolare, i nuovi stili di vita, che spingono sempre più aretini a consumare pasti nel mondo del “fuori casa”.

“La dinamica di Arezzo è simile a quella registrata in altre città italiane. Ma il calo dei negozi, per quanto sia ancora contenuto, ci deve far riflettere sui rischi che corriamo”, sottolinea la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini, “c’è ancora, per fortuna, un certo equilibrio nella rete distributiva, che in tanti quartieri è rappresentativa di tutti i settori merceologici. E se qualche comparto, come la moda, soffre di più, è per cause legate a cambiamenti in atto sul mercato globale. Ci preoccupano però le nuove tendenze di consumo: i residenti, che sembrano spariti da tanti negozi, dove vanno a fare acquisti? Nei grandi centri commerciali, on line o in altre città?  Questo dobbiamo monitorare, per capire se la rete di vicinato ad Arezzo ha un futuro solido oppure no. Sul tema lanceremo a breve una campagna di sensibilizzazione”. “In Italia ci sono grandi città modellate a misura di turisti dove il commercio soffre una crisi molto più profonda della nostra. Luoghi dove le botteghe sono sparite, dove sotto casa è più facile acquistare un souvenir che un chilo di pane. Logico che lì i residenti abbiano vita dura. Questo ci spinge ancora di più a salvare il nostro modello distributivo: i negozi di vicinato vogliono dire servizi, sicurezza, vita; sono presidi sociali importanti delle nostre città”. 

La presidente Lapini richiama quindi alla responsabilità anche i consumatori: “il consumo è un atto politico, ogni cittadino quando fa acquisti è responsabile delle proprie scelte e modella il futuro della città su queste. Gli aretini quali canali preferiscono per lo shopping? I negozi tradizionali, i grandi centri, l’online? E per il futuro che città vogliono? Vuota e senza negozi oppure vitale e ricca di attività?”. 

Dall’indagine Confcommercio emerge poi che ad Arezzo le perdite maggiori del commercio interessano le aree fuori dal centro, in controtendenza con le altre città italiane dove invece i commercianti abbandonano i centri storici per gli affitti alle stelle e altre difficoltà logistiche,. “Da noi il centro resta il più importante attrattore di investimenti economici, mentre le periferie rischiano di segnare il passo e la presenza di fondi sfitti ce lo testimonia”, spiega Anna Lapini.

Sarebbe quindi opportuno, secondo l’associazione di categoria, aprire una riflessione per governare l’evoluzione commerciale e urbanistica della città nei prossimi dieci anni: “è importante salvaguardare l’equilibrio, in uno sviluppo armonico che tenga presente i fabbisogni delle varie aree, dal centro ai quartieri più periferici.

Altrimenti il rischio è quello di creare zone servitissime, dove si concentra tutta l’offerta, e aree dormitorio prive di negozi e servizi, dove degrado e criminalità hanno gioco facile”, dice la presidente Anna Lapini, “la storia ce lo dimostra: la qualità di vita dei residenti è garantita finché resistono i negozi. Poi si aprono le frontiere al degrado”.

Per quanto riguarda i dati nazionali, la ricerca della Confcommercio mette in luce che negli ultimi 10 anni in Italia i negozi sono calati di quasi 63mila unità (-10,9%) a fronte di un aumento di quasi 40mila unità (+13,1%) di alberghi, bar e ristoranti e di una crescita del 77,6% del commercio on-line o porta a porta. In particolare nei centri storici di 120 città medio-grandi, ad esclusione di Roma, Napoli e Milano che non sono state inserite nell'analisi, la riduzione dei negozi è stata dell'11,9%. Altri dati interessanti: al crescere della popolazione comunale cresce il numero di negozi; al crescere dell’età media esso si riduce, in particolare nei centri storici.