Export, Arezzo tra le magnifiche 20: ma la crisi gli è costata 10 mila posti di lavoro

Il rapporto delle Acli fotografa la situazione economica della Provincia: oggi sarà presentato nel salone dell'Episcopio nel quadro del sinodo

Oro Arezzo

Oro Arezzo

Arezzo, 23 febbraio 2018 - Nella top 20 dell’export nazionale in valori assoluti e addirittura sul podio per export pro-capite, ma anche una città e una provincia che hanno pagato un prezzo pesante alla Grande Recessione: tanto per citare un dato, qualcosa come 10 mila posti di lavoro persi tra il 2009 e il 2016. E ancora una realtà in cui le disparità economico-sociali sono abbastanza contenute, ma nella quale crescono in maniera esponenziale i nuovi poveri, quelli che si rivolgono all’assistenza del volontariato, in primo luogo la Caritas.

Eccolo il ritratto di Arezzo che le Acli presenteranno oggi nel salone del Palazzo Vescovile, davanti al Vescovo Riccardo Fontana in prima persona. Un quadro già conosciuto a grandi linee perchè è lo stesso che esce da una miriade di ricerche e di studi degli ultimi anni, eppure con aspetti che sono ancora inediti per il grande pubblico. Prendiamo l’export.

Chiunque segua la congiuntura di questa «provincia industriosa», come la chiamano le Acli, sa quale sia il peso della manifattura e all’interno di essa dell’oro, che rappresenta grossomodo i due terzi dell’export e del valore aggiunto industriale, con la moda e l’abbigliamento a fargli da contorno. Tre distretti che sono tra i principali della Toscana, per l’oreficeria addirittura del paese.

Non a caso, ed è questa la tabella inedita, Arezzo, con appena 350 mila abitanti, è la diciassettesima provincia per quantità esportate. In vetta ci sono ovviamente Milano e Torino, le metropoli del fu triangolo industriale, ma gli aretini con 6 miliardi e 600 milioni di merci spedite all’estero, sono di poco sotto alla capitale Roma (8 miliardi), secondi in Toscana solo a Firenze (11 miliardi).

Considerando che il capoluogo di regione è per popolazione cinque volte superiore e che Milano lo è addirittura dieci, la capacità di penetrazione di Arezzo sui mercati esteri è davvero straordinaria. Lo dice del resto la graduatoria per numero di imprese attive: addirittura terzI dietro Vicenza e Chieti. Ma anche restando ai valori assoluti, alle spalle ci sono province di grande tradizione manifatturiera come Parma e Mantova.

Un patrimonio di laboriosità sul quale la crisi del 2008 ha avuto un impatto pesante, anche dal punto di vista dell’occupazione. Fino al 2011 il tasso di disoccupazione era intorno al 5 %, quasi fisiologico. E’ praticamente raddoppiato in seguito, con l’effetto che è adesso del 10, poco sotto la media nazionale dell’11, quando ancora 6 anni fa i senza lavoro erano la metà.

Secondo i ricercatori delle Acli, ha pesato l’impennata del prezzo dell’oro, bene rifugio per eccellenza nei tempi difficili. Le aziende orafe hanno reagito come un sismografo, liberandosi di manodopera, soprattutto sotto forma di cassa integrazione, che infatti ha avuto picchi ora in discesa, per sopravvivere. Il peso maggiore è stato tuttavia quello della caduta dell’edilizia (4 mila addetti persi) e del commercio col settore alberghiero (oltre 2 mila posti in meno). Più contenuta la crisi nell’industria (addio a 1200 unità).

E appunto all’industria, alla manifattura pura, Arezzo resta principalmente ancorata: lo si vede anche dal Pil, in cui gli aretini si piazzano appena quarti (24 mila euro pro-capite) dietro Firenze (31 mila), Siena (26 mila) e Pisa (25 mila), dove i servizi producono più reddito. Qui probabilmente c’è più nero, soprattutto nell’oro, ma il terziario pesa decisamente meno. In compenso, sono meno evidenti le disparità di reddito: ad Arezzo la differenza fra chi guadagna più di 120 mila euro e chi meno di 10 mila è salita solo del 3,2: è il dato più basso della Toscana dopo Pisa. Meno diseguali, ma più lenti nell’adeguarsi al post-industriale. E’ la forbice con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni.