Un uomo in mare: il diario di Luca Pellegrini vince il Premio Pieve 2018

Prima mozzo poi capitano, salpa da Trieste e gira tutto il Mediterraneo fino ad arrivare in Africa e in Brasile dove scoprirà la tratta degli schiavi in pieno Ottocento

Luca Pellegrini

Luca Pellegrini

Arezzo 16 settembre 2018 - Pensavano di poter arrivare fino alla Manica secondo i loro calcoli, correndo tutta la notte, ma il destino “aveva altrimenti deciso”. Naufragerà il Quirino, la nave in cui è imbarcato Luca Pellegrini, udinese classe 1806. Una vita in mare la sua che il naufragio non fermerà e lo porterà a conoscere le civiltà, i paesi, i costumi dei paesi del Mediterraneo fino al Sud America dove vedrà con i propri occhi la drammatica realtà della schiavitù. Una vita avventurosa che Pellegrini, prima come mozzo poi come capitano, racconta nelle sue memorie “Il mare insegna” dal 1831 al 1850, diario vincitore tra gli otto finalisti del Premio Pieve Saverio Tutino 2018, proclamato a Pieve Santo Stefano durante la cerimonia in piazza Plinio Pellegrini con la presentazione del giornalista Guido Barbieri e le letture di Mario Perrotta e Paola Roscioli.

"Da ognuno di questi viaggi riporta racconti eccezionali - si legge nella motivazione della giuria nazionale che lo ha scelto - lo sguardo curioso di un uomo libero dai preconcetti del suo tempo è la cifra che contraddistingue questa narrazione rispetto a memorie analoghe dell’Ottocento. Mirabili in particolare le considerazioni e la condanna della schiavitù dei neri nelle grandi piantagioni brasiliane, come le riflessioni sulla religione. Senza dimenticare il piglio antropologico con cui si stupisce davanti agli usi e i costumi delle popolazioni che incontra, dal Marocco alla Grecia passando per il Brasile e il Medio Oriente.. Le avventure per mare che ci ha lasciato Luca Pellegrini sono pervase da uno spirito critico straordinario, unica chiave che, anche nel mondo contemporaneo, possa dirsi valida per indagare il proprio tempo vivendolo da protagonista".

Una scrittura degna di un romanzo ottocentesco, dunque, come  la descrizione del naufragio avvenuto nel 1833: ”avevamo appena gettati circa 30 barili d’uva in mare, quando ci vidimo incagliati fra orribili frangenti. Impossibile sarebbe il dipingere con parole il nostro spavento! La nebbia ci avvolgeva più densa che mai, la pioggia spinta da vento furioso e glaciale percuoteva con impeto i nostri semiignudi corpi. Il terrore, lo scoraggiamento in tutti noi durò un solo istante, indi l’imminenza del pericolo centuplicò la nostra energia. Una scossa violentissima ci annunziò che l’ultima ora del Quirino era suonata”. Pellegrini si imbarca giovane da Trieste, dopo la morte del padre che lo lascia orfano e impara a vivere proprio dal mare, seguendo le sue regole.

E racconta quello che vede, i paesi del Mediterraneo come Smirne “la più sgradevole città di tutto l’impero ottomano” con la sua moltitudine di abitanti e tantissimi europei che si portano dietro e diffondono costumi di vita agiati e “gentili”. Come Costantinopoli in cui non trova barbe, turbanti e caffetani, come si immaginava, ma “il succinto vestito adottato dal Sultano Mahmud e comandato agl’impiegati e all’esercito” con le donne che cominciano a mostrare il naso. Un diario di viaggio più che un diario di bordo che apre una pagina di storia che diventa incredibilmente attuale saltando a piè pari due secoli: la schiavitù e il traffico di esseri umani. Pellegrini vede tutto quando arriva in Africa e poi in Brasile. Vede il razzismo e la tratta di “carne umana”, inorridisce al pensiero che quegli uomini e quelle donne non saranno mai libere perché il marchio dello schiavo seguirà loro e le loro generazioni future.

E’ il 1834, in Europa compaiono le prime leggi contro la schiavitù “sian fatte libere le innocenti creature procreate da genitori schiavi. Ma no, la schiavitù è il retaggio di questi infelici. Nato di donna schiava è schiavo anche il frutto del suo ventre! Non è possibile reprimere un moto d’indignazione al vedere la trista sorte di questi poveri disgraziati!” Scrive Pellegrini. Un messaggio potente che il Premio Pieve dedicato quest’anno alle vittime dell’Olocausto e alle vite dei migranti non poteva non cogliere.

Silvia Bardi