Pieve, nel giorno di Avati vince Dal Bo': il diario che racconta l'Italia tra due secoli

Eugenia e il racconto dal Risorgimento fino al Fascismo e alla grande guerra e della storia d'amore seguendo il marito ufficiale. Una giornata ricca di storie

1918 – La fine della Grande guerra

1918 – La fine della Grande guerra

Arezzo, 15 settembre 2019 - Arriva dal cuore dell'Ottocento la storia che conquista la commissione di lettura e il premio dei diari del 2019, l'edizione numero 35. A firmarla è Eugenia Dal Bo', nata a Milano nel 1867 e morta nel 1943, quasi una metafora della storia d’Italia dal Risorgimento fino all’epoca fascista.

E' il clou di una giornata straordinaria, che parte la  mattina in piazzetta con i racconti dei diaristi d'onore presentati da Natalia Cangi, che prosegue nel pomeriggio con la visita e il trionfo personalle di Pupi Avati, il regista della memoria e del raccontio. e alla fine confluisce nel racconto degl otto finalisti e nella proclamazione del vincitore. Anzi, della vincitrice: una donna, a parte gli episolari misti, non vinceva ad Pieve dal 2010 ma va ad allungare una serie di diari al femminile che hanno lasciato il segno nella storia del premio.

E questa è una storia che diventa lo specchio dell'Italia. Sono gli anni dell’illusione e poi quelli della delusione, i grandi eventi vissuti in diretta. Una miniera di dati, ricordi, venature. Nasce nel 1867 in un paese che è già Stato e nazione, anche grazie all’apostolato mazziniano del padre, liberato appena l’anno prima da una fortezza austriaca, dove era stato condannato al carcere duro per alto tradimento.

E’ veneta la famiglia Dal Bo’, una delle regioni che entrano nel Regno solo nel 1866, dopo l’ultima delle guerre d’indipendenza. I patrioti, i democratici in particolare, soffrono i rigori della giustizia asburgica ben oltre la nascita dell’Italia unita. E’ ancora il padre che spinge Eugenia a diventare una donna libera e indipendente. La sprona a studiare fino alla laurea in lettere all’università di Napoli, unica del suo corso.

Lei diventa una dantista di fama, fa la conferenziera in giro per la penisola, conosce l’uomo della sua vita, un giovane ufficiale di belle speranze, Gherardo Pantano. Dieci anni dopo il matrimonio, essendo lui partito per le spedizioni coloniali dell’età crispina. Partecipa alla battaglia di Adua,,la peggiore disfatta dell’esercito italiano fino a Caporetto, viene fatto prigioniero.

Solo nel 1908 lei potrà raggiungerlo in Africa e sposarlo. Ma un’altra guerra è alle porte, quella di Libia del 1911-12 voluta da Giolitti contro l’allora sovversivo e socialista Mussolini. Dopo la conquista, la coppia si stabilisce a Tripoli ed è lì che la raggiunge lo scoppio della Grande Guerra: «Eravamo a Tripoli quando nel mondo si sparse come un fulmine la notizia dell’assassinio del Granduca Francesco Ferdinando d’Asburgo».

Lei e il marito tornino in Italia dove lui chiede di nessere mandato in prima linea. Nel 1917 diventerà generale per meriti bellici, lei lo segue come infermiera volontaria. Vivranno l’orrore della trincea, gli assalti disperati. Lui ne è inorridito: «Perchè se questi soldati sono buoni e generosi, li trattiamo come avanzi di galera?». Posizione rara per un generale dell’epoca, ma già si avvicina Caporetto, che Eugenia osserva da un ospedale da campo: «Man mano che passava il tempo, si faceva sempre più chiara l’immensità del disastro che ci aveva colpito». Forse per le dee eterodosse, Pantano viene rimandato in Libia prima di Vittorio Veneto, lei lo segue ancora.

Nel dopoguerra incroceranno in patria i grandi personaggi dell’epoca, da D’Annunzio a Mussolini. Moriranno entrambi durante il Regime, Eugenia nel luglio 1943, appena due settimane prima della caduta del fascismo.