Diari di Pieve. Umberto, 18 anni, volontario della X Mas fedele agli ideali del fascismo

A Genova viene fatto prigioniero e portato in un campo di lavoro a Pisa. Il senso del dovere, la paura, i dubbi "un'esperienza troppo amara, faccio come la tartaruga che si ritira nel guscio"

Umberto Guidotti

Umberto Guidotti

PIEVE SANTO STEFANO (Arezzo) 12 settembre 2020 - L’atmosfera è quella cupa della Resa dei Conti appena prima e dopo la Liberazione del 25 aprile 1945. Umberto Guidotti, un altro dei finalisti del Premio Diari di quest’anno, ha un torto quasi irreparabile: di stare dalla parte sbagliata della storia, quella dei perdenti, quella dei fascisti, quella di chi credeva di salvare l’onore d’Italia («Seguendo la voce del dovere», si intitola appunto il diario), rimanendo fedele all’alleato nazista. E’ un milite della X Mas, il reparto speciale comandato da Junio Valerio Borghese, nome mitico per i suoi ma anche famigerato per le violenze cui i suoi soldati si abbandonano e anche perchè venticinque anni dopo il Comandante sarà protagonista di un oscuro tentativo di colpo di stato. Guidotti è a Genova nelle ore frenetiche del 24 aprile, quando la Liberazione è già in atto. Da Milano Borghese scrive parole rassicuranti: «Stare calmi; null’altro. Il principe Borghese ha telefonato da Milano che là è tutto in ordine, e di ripiegare ordinatamente. Il maggiore Arillo ne ha informato il generale Meinhold, comandante di piazza (tedesca Ndr». Nel capoluogo ligure, però, le cose stanno per andare diversamente, perchè, caso unico nel Nord dell’insurrezione, i tedeschi del generale Meinhold si arrendono direttamente alla Resistenza, abbandonando gli alleati fascisti (triste contrappasso) al loro destino. Il 26 aprile, solo un contingente di truppe naziste, cui si aggiungono anche i marò (così si chiamano quelli della X Mas) resiste ancora. Tra loro c’è anche Guidotti che di arrendersi non vuole saperne, un po’ per coerenza, un po’ per la paura di quello che succederà dopo: «Io ero dell’opinione, condivisa da molti del resto, di resistere a oltranza, perché appena ci avessero avuto in loro potere, avrebbero fatto scempio di noi», Nell’impossibilità di continuare l’impari lotta (parafrasando il discorso di Badoglio) però anche il presidio è costretto ad alzare bandiera bianca: i marò finiscono tutti in galera, con la sensazione che sarà difficile salvare la pelle: «Ore 23 Scrivo alla luce molto fiacca di una lampadina, in uno stanzone dello stadio di Marassi, col presentimento che per molti di noi questa sarà l’ultima notte. Abbiamo passato, oggi, delle ore terribili; non avrei mai creduto di patire tante umiliazioni, seguendo la voce del dovere». Il pomeriggio, infatti, è stato drammatico: i prigionieri sono stati fatti passare fra due ali di folla inferocita, frenata a stento nel desiderio di vendetta: «Un vero uragano di insulti, minacce, vituperi si è abbattuto su di noi; non v’è epiteto turpe, di quella lingua triviale, che è il genovese, che non ci abbiano dato; non c’è atto vergognoso che ci abbiano risparmiato; di qui è iniziato il nostro calvario. Dopo due o tre ondeggiamenti la folla scatenata ha rotto i cordoni. Come un allucinato - e cogli stessi sentimenti di una belva presa in trappola - mi sono fermato a guardare il cerchio che si stringeva su di noi, quando raffiche di sten sono partite alle nostre spalle. “Ci hanno traditi e ci fanno fuori come cani!” pensavo convulsamente». Invece è proprio il capo della scorta che salva i marò, sparando in aria per disperdere la minaccia. Ma Guidotti comincia a porrsi le prime domande: «Dinanzi a una simile manifestazione d’odio c’è da domandarsi se non fossimo noi dalla parte del torto? se non facessimo la rovina dell’Italia, senza volerlo? se siamo noi “venduti” - questa parola mi colpisce come uno schiaffo - e loro i puri, i giusti?» Il ragazzo della X Mas, uno dei tanti che nel disorientamento della guerra civile ha scelto la parte sbagliata, finisce nel campo di concentramento di Coltrano, vicino ai Pisa. E lì saranno ancora umiliazioni e vita dura. Guidotti ne uscirà a ottobre ’45, deciso a non occuparsi mai più di politica: «Non valeva la pena di sacrificarsi, qualunque cosa accada io non penserò che al mio bene e alla mia famiglia, non mi immischierò più di nulla»