Arezzo, 3 maggio 2022 - Una condanna a Piero Mancini per meno della metà delle richieste della procura – da 5 anni di reclusione a 2 anni e 4 mesi – e, sopratutto per nemmeno un decimo del valore delle presunte bancarotte contestate, i capi di imputazione spazzati via, tranne il primo. Ovvero aver intascato con assegni anche a ’me-medesimo’ un milione e 400 mila euro come ’prova’ il foglio excell agli atti del processo che proverebbe la motivazione dissimulatoria degli incassi: vecchi crediti mai nemmeno richiesti e finiti nelle tasche del patron. Il resto è finito in un’assoluzione corale quasi per tutti, Mancini per le altre ipotesi di accusa, Jessica Mancini e Augusto Sorvillo, presidenti del Cda della Ciet in due diversi momenti, e anche Giovanni Cappietti, ritenuto il commercialista intermediario delle operazioni illecite che del presidente mangia-allenatori era stato il braccio destro nell’Arezzo e che con lui condivise il carcere, nell’inchiesta Flynet del 2008, che segnò l’inizio del declino del gruppo. Eccolo dieci anni dopo i fatti il verdetto, in odore di impugnazione sia da parte dell’accusa che della difesa, per l’ex presidente dell’Arezzo calcio e dell’azienda Ciet, specializzata in impianti telefonici, ieri presente in aula alla lettura del dispositivo. La condanna in particolare è scattata per la distrazione di un fondo a titolo personale di un milione e 400mila euro, in più tranche tra il 2006 e il 2012. Mancini avrebbe prelevato dalla Ciet - società in amministrazione straordinaria e dichiarata insolvente con sentenza del 2013 del tribunale di Arezzo – la somma, attraverso il fidato Paolo Grotti, amministratore della Ciet tra il 2010 e il 2012, soldi che quest’ultimo prendeva "dalle casse della società mediante assegni bancari poi monetizzati e prelevamenti di denaro contante, il cui importo veniva consegnato a Mancini – è scritto nel capo di ...
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