"Una piazza di spaccio tra le scuole": il Gip fotografa il sistema-scandalo del Pionta

L'ordinanza ritrae una zona fuori controllo divisa in in tre aree: una di hashish, una di spaccio di droghe pesanti, una di rifornimento di eroina. 35 codici rossi provocati dalla roba

La polizia guidata da Morselli

La polizia guidata da Morselli

Arezzo, 22 maggio 2019 - Il Pionta non era più un parco ma un’unica, grande, «piazza di spaccio», nella quale, insieme a Campo di Marte e a viale Cittadini, dominavano gli spacciatori africani, soprattutto quelli di colore, e dalla quale ormai erano esclusi i frequentatori normali, come le famiglie. E’ il ritratto impietoso che dipinge il Gip Piergiorgio Ponticelli nell’ordinanza con la quale ha tenuto in carcere 25 dei 30 arrestati nella Grande Retata di quindici giorni fa e che torna d’attualità nel momento in cui viene catturato un altro (nigeriano, di 28 anni) dei pusher che in in primo momento erano sfuggiti alla cattura (ce ne sono ancora cinque latitanti) e nel giorno in cui partono i primi ricorsi al tribunale del Riesame per ottenere la scarcerazione di quelli che sono già in galera.

«La presenta indagine - scrive Ponticelli nelle 290 pagine dell’ordinanza - rivela inequivocabilmente come il fenomeno sia chiaramente inquadrabile entro un sistema organizzato che assume i connotati tipici di un autentico mercato della droga». E ancora: «La zona del parco era ormai diventata una vera e propria centrale di raccolta di soggetti unicamente dediti all’attività di spaccio e un luogo utilizzato per occultare gli stupefacenti da vendere, cedere, procacciare».

Un vero e proprio sistema, insomma, «perdipiù in prossimità di una scuola e dell’ospedale cittadino», con «traffici illeciti (che) avevano ampiamente superato il normale livello di guardia», creando «una situazione di grave allarme sociale». Secondo il Gip, «rimane visivamente molto chiaro che questa piazza di spaccio insista all’interno di un territorio dove si trovano» ben due succursali dell’istituto tecnico, il dipartimento dell’università, la residenza psichiatrica, un’elementare e una media».

In determinate ore della giornata, «quelle del pomeriggio e della prima serata, il parco registra presenze di extracomunitari africani che sono impressionanti». Lo spaccio avviene a cielo aperto, sia con i clienti rispetto ai quali c’è già confidenza, che con gli estranei. Capita che esplicitamente si offra droga a chi passa, con la domanda: «Che ti serve?».

Ognuno dei pusher cerca di vendere innanzitutto la «sostanza di cui è nella disponibilità, ma tutti cooperano e agevolano la cessione dei compagni, in un sistema di concorrenza equilibrata». Anche i nascondigli di ciascuno sono noti a tutti e ognuno potrebbe sottrarre la droga degli altri, ma «gli intenti sono comuni».

Pure le fonti di rifornimento sono uguali per tutti, altrimenti non si spiegherebbe perchè «in comunità criminali caratterizzate da estrema violenza non si sia assistito a nessun tipo di contrapposizione reale». Il parco, secondo Ponticelli, è diviso in tre aree. Nella prima, la più aperta al pubblico, dominano gambiani, senegalesi e ivoriani che vendono hashish.

Nella seconda, fra l’Usl e l’uliveto, ragazzi di colore e magrebini spacciano sia droghe pesanti che leggere, nella terza, la più interna, dominano i nigeriani, che riforniscono anche gli altri, con coca ed eroina. Gli effetti si vedono dopo: dall’inizio del 2018, calcola Ponticelli, sono ben 35 i codici rossi provocati da malori dovuti alla droga