Un lanternaio del Borgo guidava Piero cieco Il racconto del poeta stregato dall’artista

Herbert a fine anni ’50 segue le tracce pierfrancescane ed evoca un personaggio che allora sembrava una leggenda e ora trova conferme

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Attilio Brilli

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i può riscoprire il senso del pellegrinaggio in visita alle opere di Piero della Francesca di cui ci hanno parlato illustri personaggi di un recente passato? Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, in Gran Bretagna ebbe un notevole successo un “serial” della televisione dal titolo Summer’s Lease, imperniato appunto sul così detto “Piero della Francesca Trail”, vale a dire la pista di Piero. In occasione del Cinquecentenario della morte del pittore, nel 1992, l’università della California approntò addirittura un "Electronic Trail" sulle orme del pittore.

Le menti più illuminate hanno sempre seguito una maniera analoga per confrontarsi con Piero e con le sue opere. Questo è stato ed è possibile perché gran parte di queste sono concentrate, caso più unico che raro, lungo un percorso di poco più di cento chilometri, da Arezzo a Urbino, facendo perno su Sansepolcro, la città natale del pittore. Mentre non avrebbe alcun senso parlare della “pista” di Raffaello o di Caravaggio, ne ha per quanto riguarda il pittore di Sansepolcro.

In proposito, piace qui ricordare un poeta, drammaturgo e saggista polacco il quale, molti anni fa, nel 1959, scrisse un saggio illuminante su Piero, la cui eco si è spenta senza lasciare all’apparenza alcuna traccia sugli studiosi del pittore. Quello che Zbigniew Herbert intraprende con pochi mezzi e andando, come dice lui stesso, alla ventura, è un autentico pellegrinaggio a cui si dedica dopo essere rimasto folgorato da due dipinti pierfrancescani della National Gallery di Londra, il Battesimo e la Natività.

Il suo itinerario, in parte eccentrico, prende avvio da Perugia, “fantastico labirinto di strade, corridoi e sotterranei”, dove ammira il polittico della Madonna con il Bambino e quattro santi, per affrontare subito dopo le tappe tradizionali che da Arezzo portano a Monterchi, Sansepolcro e Urbino.

Con l’apparente frammentarietà degli appunti di viaggio, ma anche con uno spiccato gusto per l’aforisma, le pagine di Herbert colgono aspetti dell’arte di Piero che suggeriscono nuovi modi di vedere rendendo maggiormente vivaci tesi già formulate. Circa la scena madre del ciclo di Arezzo con la morte di Adamo, scrive che i personaggi “mostrano il pathos insieme la saggezza degli animali morenti” e che l’intera scena sembra alitare un’atmosfera ellenistica, come se fosse stato Eschilo a scrivere il Vecchio Testamento. Quella di Giuda calato in un pozzo perché rivali l’ubicazione del legno della Croce è una scena di tortura, tuttavia ciò che colpisce lo sguardo è l’impalcatura triangolare che sostiene il torturato: "Ancora una volta la geometria ha prosciugato l’emozione".

Di fronte al Cristo della Resurrezione di Sansepolcro, il cui sudario sembra la toga di un senatore romano, afferma che ha “il volto sapiente e gli occhi profondi di Dioniso”, e che poggia il piede destro sull’orlo del sarcofago come chi intendesse schiacciare il collo del nemico. Sostando a Monterchi, Herbert invita a concentrare lo sguardo sulla mano che la fanciulla posa sul ventre, quasi se volesse “toccare il mistero”.

Giunto a Urbino, si sofferma sulla figura a mezzo busto della Madonna di Senigallia che ha il volto della nutrice di re, con il Bambino che assomiglia ad un sovrano in miniatura, consapevole del suo potere e del suo destino. Al cospetto della Flagellazione, con i tre misteriosi e discussi personaggi sulla parte destra della tavola, e con sullo sfondo la scena del supplizio, dice che lo staffile batte sul Cristo legato alla colonna con la regolarità inesorabile delle lancette dell’orologio.

C’è una frase che presenta la sintesi della colta e originale interpretazione che Herbert propone delle opere pierfrancescane, una frase nella quale si coglie l’eco di un’intera tradizione interpretativa. Piero è pienamente consapevole che l’eccesso di moto e di espressioni emotive sconvolge lo spazio e comprime il tempo fino a ridurlo alla futile occasionalità del momento.

Nasce da questa consapevolezza il suo mondo aurorale, universalmente terso ed immobile, da qui hanno origine i suoi combattenti che tranciano i nemici nello stesso modo e con la stessa impassibile lena con la quale i boscaioli abbattono gli alberi. Il poeta polacco conclude il saggio con un’immagine patetica e serena ad un tempo, ricordando che un individuo di Sansepolcro che faceva il lanternaio, tale Marco di Longaro, soleva narrare che da piccolo aveva il compito di condurre per mano un pittore che si chiamava Piero della Francesca il quale era diventato cieco, “Il piccolo Marco non poteva sapere”, commenta Herbert, “che la sua mano guidava la luce”.

Quest’ultima storia è stata per lungo tempo messa in discussione e ritenuta da molti una leggenda locale. Merita ricordare oggi che in un prezioso volume edito nel 2018 da Aboca Museum e intitolato La Bottega dell’Arte con I diari della famiglia Alberti artisti del Rinascimento a Borgo Sansepolcro, è reperibile una testimonianza diretta che accredita questo singolare evento.