Truffa Etruria, perché la richiesta di condanna: "Il rischio dei clienti non li fermava"

La testimone chiave è la promoter finanziaria: da lei dipende la sentenza finale. "Bond a un pubblico che non sapeva cosa fossero, rassicurazioni sui rischi»

Manifestazione di protesta. Risparmiatori di banca Etruria Arezzo

Manifestazione di protesta. Risparmiatori di banca Etruria Arezzo

Arezzo, 22 gennaio 2019 - Due di loro sono sfilati in aula difendendosi con le unghie coi denti, ma solo uno Paolo Mencarelli è riuscito a convincere la procura che se c’è stata una «cabina di regia» per il collocamento truffaldino delle subordinate, lui non ne faceva parte. Per i quattro colleghi dirigenti, il Pm Julia Maggiore non ha dubbi: incitarono direttori e dipendenti delle filiali a piazzare i due prestiti di obbligazioni subordinate del 2013 «a tutti i costi, anche a rischio di recare pregiudizio ai clienti».

Il che per l’accusa integra appunto il concorso morale nella truffa. La testimonianza chiave di un sistema che avrebbe previsto premi e punizioni, elogi ai più solleciti e rimproveri a chi si mostrava incerto, è nella requisitoria d’accusa quella di Paola F., la promoter che ha raccontato di aver subito da Luca Scassellati le minacce che lui ha sempre negato (anche dal banco degli imputati perchè è l’altro che si è sottoposto all’esame in aula) di averle rivolto.

Due verità l’un contro l’altra armate e da quella che il giudice Angela Avila (la stessa del processo di Martina, forse al suo ultimo grande processo prima di diventare Gip) riterrà più credibile dipenderà la sentenza. Racconta dunque la signora Paola che quando si mostrò restia a un collocamento da lei considerato a rischio per i clienti, il direttore d’area le prospettò rischi concreti di carriera e che poi in un successivo colloquio, sempre nell’estate 2013, quella del primo prestito, le fu detto esplicitamente che ci sarebbero state conseguenze.

Poi diventate, dice ancora lei, il trasferimento a Sansepolcro con perdita dell’originario portafogli clienti. No, ribatte Scassellati, sostenuto dal direttore del personale e dal vicedirettore generale Emanuele Cuccaro: a Paola F. fu tolto il portafogli perchè si temeva che se lo portasse dietro presso la nuova banca della quale aveva accettato la proposta di lavoro. Quanto ai toni, non sarebbero mai stati perentori come sono stati raccontanti, tanto che la signora fu valutata come una dei migliori promoter.

Il Pm Maggiore però non accetta questa ricostruzione e fa propria quella della signora: le proposte di passaggio da una banca all’altra erano la normalità, lei si risolse ad accettarla solo dopo il trasferimento a Sansepolcro vissuto come una punizione. Dopo, dunque, e non prima i dissapori sulla vendita dei bond. Un racconto che sarebbe rafforzato da quello un po’ meno ricco di dettagli di altri due colleghi promoter, Giorgio M. e Luca M.

Tre testimonianze alle quali la procura aggiunge la messe di email di incitamento partite dalla sede centrale verso le filiali, con linguaggio fra il colorito e l’entusiastico. Normale in queste operazioni? Non è questo il punto, ribatte il Pm: quei toni ci dicono che non ci si fermava dinanzi a niente per esaurire il collocamento.

Non si sarebbero fermati, così sollecitati, nemmeno i dipendenti delle filiali, per i quali Julia Maggiore descrive alcune fra le storie più eclatanti: i titoli piazzati a chi nemmeno sapeva cosa fossero, le rassicurazioni sul rischio inesistente, la pressione a disinvestire i vecchi bond per i nuovi anche quando non erano scaduti.

Esce di scena invece una dei casi più patetici, quello dell’anziana madre di Castiglion Fibocchi che perse i 100 mila euro necessari al sostentamento della figlia disabile. La signora ha ritirato la querela