Truffa dell'argento, 32 dal Gip tra cui l'ex manager Bpel. Tutti i nomi

E' Plinio Pastorelli, allora consigliere delegato di Oro Italia Trading: per lui la procura aveva chiesto l'arresto ma giudice e Riesame dissero di no. Nella foto il Pm Dioni

Marco Dioni

Marco Dioni

Arezzo, 6 marzo 2019 - Bastarono pochi mesi per condannare i quattro orafi arrestati per la frode carosello di «Argento vivo», traffico di dimensioni assai minori di Fort Knox ma altrettanto clamoroso per i nomi dei protagonisti, ma sono serviti ben quattro anni per arrivare all’udienza preliminare riguardante tutti gli altri indagati, fra i quali spicca, insieme a un plotoncino di imprenditori, Plinio Pastorelli, già consigliere delegato di Oro Italia Trading, gigante da 500 milioni di fatturato controllato dalla fu Banca Etruria e poi sciolto quando è subentrata Ubi Banca.

Alcuni di coloro che finirono in manette lo accusavano di essere una specie di regista occulto dell’intera operazione illecita, ma lui in carcere non c’è mai finito, nonostante il Pm Marco Dioni, titolare dell’inchiesta, l’avesse a suo tempo richiesto. Diventò, anzi, una specie di braccio di ferro quello che si giocò nella primavera-estate del 2015 sulla testa di Pastorelli.

Col Gip Anna Mario Lo Prete che disse no alla richiesta delle manette perchè il manager si era già dimesso dalla carica e non era più in grado di inquinare le prove o reiterare il reato, la procura che fece ricorso al tribunale del Riesame e i giudici di quest’ultimo organo che chiusero definitivamente il caso stabilendo che non c’erano gli elementi per l’arresto: posizione grave, quella del consigliere delegato di Oro Italia Trading, ma senza più i presupposti della custodia cautelare.

Stamani ci sarà ancora lui al centro dell’udienza nell’aula del Gip Giampiero Borraccia, insieme ad altri 31 orafi, tutti accusati di truffa aggravata ai danni dello stato per un’evasione multimilionaria dell’Iva. Il meccanismo contestato, che riguardava argento, palladio e altri metalli preziosi, era ormai consolidato. Si partiva col banco metalli che vendeva il prodotto grezzo a un’azienda, la quale a sua volta lo cedeva a una società cartiera, esistente cioè solo sulla carta per il tempo necessario a mantenere in piedi il traffico.

A seguire il passaggio a una terza azienda che fondeva il metallo in verghe, con cessione finale a Oro Italia Trading. Teoricamente con tanto di Iva al 22 per cento, che in realtà non pagava nessuno. Il gigante di Pastorelli ci guadagnava di fornire un credito d’imposta alla banca madre e di poter praticare prezzi assolutamente concorrenziali, leggermente sotto quelli di mercato, gli orafi l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

Tra gli accusati di oggi c’è ancora uno dei fratelli Romani, Enrico, uno degli arrestati della prima ora, già condannato col rito abbreviato e ora a processo per ulteriori capi di imputazione. Con lui Alessio Romani, Giuseppe Giuliani, Andrea Benini, Alessandro Leonessi, Alessandro Ciofini, Mario Cocco, Roberto Calabrese, Riccardo Garagnani, Vincenzo Contessa, Antonio Carano, Massimo Gramaccioni, Michele Giuliano, Stefano Cherici, Fiorella Giannotti, Luigi Marco Ceccanti, anche lui in manette all’inizio dell’inchiesta e già condannato, Graziano Marcucci, Marco Masini, Paolo Ricci, Mirko Capacci, Marco Bonarini, Andrea Carnesciali, Christian Peruzzi, Rosario Previti, Federica Cenci, Layla Serenelli, Silvio Barduzzi, Roberto Poscolieri e Mario Ugo Simonelli. Alcuni chiederanno il rito abbreviato, non Pastorelli, difeso dagli avvocati Luca Fanfani e Pier Matteo Lucibello, deciso ad andare dritto, se il Gip non lo proscioglierà, verso il processo ordinario.