Stretta commercio: conto salato da 15 milioni per bar e ristoranti

Si aggrava ancora la crisi del sistema: 1,2 miliardi di consumi persi nel 2020, il 70 per cento dei titolari: non reggiamo un altro lockdown

Chiusura dei locali a Campo dei Fiori, Roma (Ansa)

Chiusura dei locali a Campo dei Fiori, Roma (Ansa)

Arezzo, 28 ottobre 2020 - Dopo il colpo di scure arriva anche il conto. Il giro di vite che il dpcm del premier Conte ha imposto a bar e e ristoranti costerà più o meno, solo in provincia di Arezzo, fra i tredici e i quindici milioni. Ed è un danno aggiuntivo, nel senso che si somma a quelli già provocati dal lockdown (due mesi di chiusura supportati soltanto dall’asporto) e dalla stretta sulla movida che già era arrivata, sempre per via di Dpcm, solo un paio di settimane prima.

Roba da ammazzare un toro, altro che 1200 bar e 500 ristoranti (comprese trattorie e pizzerie) censiti in questo territorio. I locali che mollano definitivamente si contano per ora sulle dita di una mano, ma torna d’attualità la previsione che il direttore provinciale e regionale di Confcommercio, Franco Marinoni, aveva fatto al momento della riapertura di maggio: un su cinque non ce la farà.

Cui vanno aggiunti quelli che preferiscono abbassare la serranda provvisoriamente, fino a quando dureranno gli effetti del decreto, cioè il 24 novembre, ammesso che lo stop non venga reiterato. In primis il Caffè dei Costanti, il più prestigioso dei locali cittadini, che chiude i battenti fino a quando resta la chiusura alle 18. Per non parlare della catena del Crispi’s, che comprende anche il Ristoburger della multisala, guidata dai presidente dei ristoratori di Ascom Federico Vestri: anche lì solo take away e una quindicina di dipendenti (12 quelli delle Stanze) in cassa integrazione.

Con un pizzico di prudenza si può stimare che gli addetti costretti a ricorrere agli ammortizzatori sociali dal provvedimento di domenica saranno un migliaio. La crisi del commercio è tuttavia più strutturale. La mazzata del Dpcm la aggrava ma non è tutto lì. Basti dire, il calcolo è ancora di Confcommercio regionale, che il settore negozi, bar, ristoranti e affini perderà a fine anno 1,2 miliardi di consumi in questa provincia.

Pagano dazio soprattutto le attività più legate al turismo, anche se qui l’estate era stata buona, almeno nel confronto con le capitali dei vacanzieri come Firenze. Soprattutto però il 72 per cento dei commercianti (compresi baristi e ristoratori) dice che non ce la farebbe a sopportare un altro lockdown e il 57 per cento si dichiara in difficoltà nel far fronte alle scadenze, in particolare quelle fiscali.

Gli effetti già si vedono, anche sull’occupazione: per ora sono andati persi in tutta la Toscana 104 mila posti stagionali, non rinnovati dinanzi alla crisi. Confcommercio prevede un ulteriore peggioramento nel caso in cui il governo dovesse rinunciare al blocco dei licenziamenti per i dipendenti a tempo indeterminato. Un altro dato, che non c’entra col commercio, lo fornisce IresCgil, il centro studi regionale del maggior sindacato.

Nei mesi della crisi Covid i risparmi dei toscani sono cresciuti perchè la gente non spendeva nell’incertezza di quanto potesse succedere. Non dappertutto però l’aumento è stato lo stesso e Arezzo è la provincia in cui è stato più lieve: appena 24 milioni sui due miliardi regionali, con un dato pro-capite di 69 euro contro i 500 toscani.

Non è che gli aretini siano meno formichine degli altri, siamo piuttosto all’effetto di una struttura sociale diversa, molto più basata sulle partite Iva, che sono quelle che hanno patito di più l’infinita emergenza economica del virus.