"Sono stanco" sussurra all'amico e vola giù dal Cervino: Matteo muore a 28 anni

La tragica fine di Pes, conosciutissimo in città: calciatore, studioso di storia, lavoratore e impegnato in politica. Cade sul lato svizzero, i genitori a Zermatt per riportarlo a casa

Matteo Pes

Matteo Pes

Arezzo, 20 agosto 2018 - «Sono stanco, non ce la faccio più»: e dopo pochi secondi è precipitato, sotto gli occhi sbarrati dell’amico. Precipitato giù dalla parete verticale che aveva risalito quasi completamente, a pochi metri dal breve tratto traverso nel quale avrebbe potuto riprendere finalmente fiato. Si è arreso prima Matteo Pes. E ha perso la vita lì, a 28 anni, inseguendo l’ultimo sogno: la vetta del Cervino.

Un volo senza speranza: la Finanza di Breuil calcola che sia precipitato per circa 300 metri, parte in verticale, quella che aveva risalito dal Rifugio Duca degli Abruzzi, e parte rotolando tra gli speroni di roccia. Un’avventura partita da Arezzo da poche ore ma preparata da mesi: insieme a Francesco Sardelli, il compagno di tante scalate. «Arrivato in cima allo Cheminée (la famosa parete) mi sono voltato per vedere dove fosse Matteo: ha detto poche parole, è caduto», ha raccontato sconvolto al soccorso alpino e alla Finanza.

Un allarme che non ha potuto dare subito. Perché in quel punto non c’era campo. E’ arrivato fino a quella che doveva essere la loro prossima meta, dalla quale lanciare la rincorsa al Cervino: la Capanna Carrel, a 3835 metri di quota. Ha chiamato Cervinia, lo hanno raggiunto in elicottero e portato al soccorso alpino valdostano. Dall’altro versante rispetto ai resti dell’amico. Che è caduto sul lato sinistro della montagna, quindi oltre confine.

E infatti il suo corpo è stato recuperato da Air Zermatt e portato in Svizzera, dove la polizia cantonale del Vallese si occupa delle indagini. Anche se tutto è tristemente chiaro. I genitori di Matteo sono partiti subito da Arezzo, a loro toccherà identificare la salma. Forse domani, almeno in base alle prime indicazioni, il rientro in città. Lì dove Matteo era molto conosciuto.

Lavoratore e studente, aveva gestito un piccolo bar nel centro storico, studiava e già collaborava con la facoltà di storia dell’università di Firenze. Appassionato di calcio, era stato promosso con la sua squadra (il San Marco) in seconda categoria. Amante degli sport estremi, faceva anche paracadutismo, militante di Casa Pound, trovava in montagna il suo habitat naturale.

«In montagna non si bara» aveva scritto in un recente post su Facebook. Ed era pronto a vincere la sua ennesima partita. Sapeva quanto il tratto fosse duro, anche se servito da una corda fissa: ti devi arrampicare con la forza delle braccia, appesantito e ostacolato dallo zaino. E sotto una parete da cui si staccano spesso frammenti di roccia (anche se la parte più esposta era ormai alle sue spalle) insidiosissimi.

«Chi più lontano vede, più a lungo sogna» amava ripetere Matteo, facendo sua una frase di Walter Bonatti. Per questo si era arrampicato quasi ai confini del cielo. Sicuro, era un’altra delle sue massime, che «non possiamo dirigere il vento ma possiamo orientare le vele». Ma stavolta il vento è stato più forte di lui.