di Alberto Pierini  "Sì, quelle scritte le ho fatte io". Lo dice senza orgoglio e a voce sommessa ma con la rabbia che ancora sprizza da tutti i pori. Lo dice in aula, nella giornata decisiva di un processo minore sul piano del reato, la diffamazione aggravata, ma su un caso che ha fatto scalpore. Lo dice rispondendo alla domanda asciutta del Pm Emilio Bettini. "E’ stato lei?". Riconosce la firma di quei testi, offese sanguinose e oscene alla prof. Non subito dopo la bocciatura, del settembre 2019 agli esami di riparazione, ma due mesi dopo, a novembre. Come se la rabbia avesse covato fino ad esplodere? No, spiega dal banco degli imputati, ma davanti al cambio di passo nella nuova scuola, l’Itis. "Ha preso subito dieci in matematica".  Paradossalmente ha perso il lume dagli occhi non di fronte al semaforo rosso del Redi ma a quello verde dell’istituto tecnico. E allora, solo allora si arma di pennarello. In fondo la storia finirebbe qui. Con la difesa, guidata dall’avvocato Marco Messeri, a puntare sul fatto che possa aver agito in uno stato d’ira provocato dai comportamenti dell’insegnante.  Una possibile scriminante all’articolo di codice che gli viene contestato: ma che ha bisogno di appendersi ad un fatto ingiusto. Per questo l’uomo inanella episodi su episodi, legati ai mesi allo scientifico: davanti ai quali l’insegnante, in aula e attentissima, nega tutto scuotendo la testa e poi definendoli un mucchio di bugie.  La bocciatura si era profilata già a giugno, e capisci che lo stesso padre l’avrebbe preferita, per anticipare l’addio ad una scuola e l’ingresso in un’altra. Invece viene rimandato (giudizi sospesi secondo i nuovi termini) su tre materie. Potevano essere quattro e la collega della professoressa, in tribunale come testimone, conferma che fosse stato per lei gli sarebbe toccata ma il consiglio di classe decise altrimenti. Gli esami di settembre (anzi ormai di agosto) non vanno bene, e lo stesso padre lo ammette. Però contesta perfino la comunicazione, secondo lui tardiva, della bocciatura: arriva proprio dalla prof, coordinatrice della classe. "In quel momento ha tentato di gettarsi dalla finestra, lo abbiamo bloccato appena in tempo". Una telefonata che finisce male, offese da una parte e amarezza dall’altra. L’uomo da una parte si scusa ("per coloro che ho fatto stare male") ma dall’altra a tratti rincara la dose con parole forti, quasi come quelle delle scritte. Di parole l’ultima toccherà al giudice Antonio Dami, impegnato a tenere il dibattito solo sui fatti contestati.  Il babbo assicura di non aver usato pennarelli indelebili e di aver scritto tutto non sui muri ma su superfici più facilmente lavabili. Vero o no che sia, le controparti sfoggiano una serie di foto, il tenore di quelle offese a sfondo sessuale non cambia troppo. E di quei contenuti l’uomo si assume le responsabilità. Ma la tensione in aula resta alta, come non fossero passati quattro anni ma 4 giorni da quei colpi di pennarello, più o meno indelebile, in giro per la città.

Cronaca

di Alberto Pierini

"Sì, quelle scritte le ho fatte io". Lo dice senza orgoglio e a voce sommessa ma con la rabbia che ancora sprizza da tutti i pori. Lo dice in aula, nella giornata decisiva di un processo minore sul piano del reato, la diffamazione aggravata, ma su un caso che ha fatto scalpore. Lo dice rispondendo alla domanda asciutta del Pm Emilio Bettini. "E’ stato lei?". Riconosce la firma di quei testi, offese sanguinose e oscene alla prof. Non subito dopo la bocciatura, del settembre 2019 agli esami di riparazione, ma due mesi dopo, a novembre. Come se la rabbia avesse covato fino ad esplodere? No, spiega dal banco degli imputati, ma davanti al cambio di passo nella nuova scuola, l’Itis. "Ha preso subito dieci in matematica". 
Paradossalmente ha perso il lume dagli occhi non di fronte al semaforo rosso del Redi ma a quello verde dell’istituto tecnico. E allora, solo allora si arma di pennarello. In fondo la storia finirebbe qui. Con la difesa, guidata dall’avvocato Marco Messeri, a puntare sul fatto che possa aver agito in uno stato d’ira provocato dai comportamenti dell’insegnante. 
Una possibile scriminante all’articolo di codice che gli viene contestato: ma che ha bisogno di appendersi ad un fatto ingiusto. Per questo l’uomo inanella episodi su episodi, legati ai mesi allo scientifico: davanti ai quali l’insegnante, in aula e attentissima, nega tutto scuotendo la testa e poi definendoli un mucchio di bugie. 
La bocciatura si era profilata già a giugno, e capisci che lo stesso padre l’avrebbe preferita, per anticipare l’addio ad una scuola e l’ingresso in un’altra. Invece viene rimandato (giudizi sospesi secondo i nuovi termini) su tre materie. Potevano essere quattro e la collega della professoressa, in tribunale come testimone, conferma che fosse stato per lei gli sarebbe toccata ma il consiglio di classe decise altrimenti.
Gli esami di settembre (anzi ormai di agosto) non vanno bene, e lo stesso padre lo ammette. Però contesta perfino la comunicazione, secondo lui tardiva, della bocciatura: arriva proprio dalla prof, coordinatrice della classe. "In quel momento ha tentato di gettarsi dalla finestra, lo abbiamo bloccato appena in tempo". Una telefonata che finisce male, offese da una parte e amarezza dall’altra. L’uomo da una parte si scusa ("per coloro che ho fatto stare male") ma dall’altra a tratti rincara la dose con parole forti, quasi come quelle delle scritte. Di parole l’ultima toccherà al giudice Antonio Dami, impegnato a tenere il dibattito solo sui fatti contestati. 
Il babbo assicura di non aver usato pennarelli indelebili e di aver scritto tutto non sui muri ma su superfici più facilmente lavabili. Vero o no che sia, le controparti sfoggiano una serie di foto, il tenore di quelle offese a sfondo sessuale non cambia troppo. E di quei contenuti l’uomo si assume le responsabilità. Ma la tensione in aula resta alta, come non fossero passati quattro anni ma 4 giorni da quei colpi di pennarello, più o meno indelebile, in giro per la città.

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