Scuola, oltre 400 posti a concorso: è ansia precari, l'odissea di quelli esclusi

Sale il fermento in cattedra. Per l'esame ordinario corsa a sostenere gli esam di pedagogia e psicologia decisivi per poter partecipare. Iscrizioni: 300 in meno all'infanzia

Ancora storie di precari

Ancora storie di precari

Arezzo, 13 giugno 2019 - C’è una scuola superiore in Valdarno dove mancano al momento nove insegnanti di italiano. Nove cattedrelibere, roba da mobilificio: lo specchio di un’emergenza infinita. Solo in provincia sono 434 i posti liberi tra medie e superiori, tutti docenti, tutti tasselli decisivi per completare i futuri orari. Tutti posti potenzialmente a concorso. Perché la scuola viaggia verso l’ultima grande infornata. Cinquantamila posti in Italia, centinaia dalle nostre parti. Divisi in due concorsi.

Uno straordinario, riservato a chi ha almeno 36 mesi di insegnamento, anzi per l’esattezza tre annualità, ognuna delle quali la ottieni anche solo con 180 giorni di lavoro. Uno ordinario, sempre il requisito dei mesi in cattedra però con apertura anche ai neolaureati: ma ad una condizione, che presentino oltre ai titoli più sudati anche 24 crediti formativi. Un dettaglio? No, il nodo che sta scatenando la corsa agli esami di pedagogia, psicologia, metodologia didattica e antropologia.

Tuo figlio ha una laurea, una specializzazione e un dottorato? E’ lì che studia pancia in terra pedagogia per potersi giocare tutto quello che ha guadagnato nella roulette russa dei concorsi. Un assurdo ma con un senso: non tutti quelli che conoscono la matematica (solo un esempio, beninteso) come Einstein sono anche in grado di insegnarla. Solo che fino qualche anno fa il problema non esisteva, c’erano le famose Ssis, scuole di specializzazione, e passava la paura.

Ora la paura regna ancora sovrana, perfino quando la scuola riapre i portoni. Ieri si tagliava con il coltello nella sala conferenze dell’Itis. Al centro una buona notizia, l’accordo fatto con il governo per rilanciare i concorsi e quindi le assunzioni, presente Manuela Pascarella, una di quelle che per la Cgil ha trattato e fino all’alba. Ma intorno il timore di perdere l’ultimo treno. Se non ho i 36 mesi resto fuori anche stavolta.

E’ il destino delle «finestre», c’è sempre una linea che viene tracciata e che il destino rende una sbarra per tanti candidati. Ma possibile, è la parola d’ordine, che se ho due anni e mezzo di insegnamento non posso almeno avere diritto ad un esame abilitante? Possibile sia nelle stesse condizioni dei neolaureati?

Poi c'è IL sostegno, gente che ha imparato il mestiere più difficile del mondo, il linguaggio spesso diversissimo con cui aiutare chi ha le più diverse disabilità: e che è sistematicamente escluso dal ruolo. Lavora nell’organico di fatto, è fuori da quello di diritto, per dirla in burocratese stretto. E a settembre? «Quei concorsi – risponde dalla Cgil Maurizio Tacconi – non potranno consegnare le cattedre prima del 2020. Quindi sono posti che andranno a incarico e supplenza».

Dentro c’è la prima fuga verso «quota 100». Intanto i precari seguono ciascuno il proprio filone. Come gli «ingabbiati». Docenti di scuola primaria e infanzia, cui è preclusa ogni possibilità di abilitazione nelle classi di concorso utili per insegnare tra medie e superiori. Hanno una o più lauree, master, specializzazioni: ma senza abilitazione non possono chiedere la mobilità professionale e il percorso abilitante a loro è chiuso.

Mentre la scuola ai primi stadi perde iscritti: trecento in meno all’infanzia solo quest’anno. Meno figli, meno studenti, meno insegnanti. E chi resta ancora fuori, nella terra di nessuno dei precari, trema all’idea che quella porta non si riapra mai più.